IL PRECARIO CHE PARLA DI SCUOLA

IL PRECARIO CHE PARLA DI SCUOLA

Franco Buccino

Mi sono imbattuto l’altro giorno nel mio amico precario della scuola. Quello delll’ascensore. Mi ha raccontato brevemente le ultime novità. Come aveva previsto, non ha avuto l’incarico annuale. Anche se continua a uscire qualche calendario del Provveditorato, tra correzioni e annullamenti la graduatoria non scorre. Ha lavorato in una scuola per cinque giorni prima delle feste su un progetto regionale, è andato a un paio di convocazioni per supplenze brevi senza fortuna. Trova persone collocate in elenco prima di lui, che ha quasi quarant’anni di età e dieci di servizio. Per fortuna, ripete, che c’è il “salvaprecari”, con il quale si ha anche quest’anno punteggio e indennità di disoccupazione. Si è iscritto, come mi aveva preannunciato, all’Università per una seconda laurea: gli costa duemila e quattrocento euro all’anno. Lui sostiene che la seconda laurea gli sarà molto utile per i punti e per partecipare in futuro a più corsi di abilitazione e concorsi. È molto attento a tutte le notizie che riguardano la scuola, non solo i precari. Sono sorpreso della competenza, equilibrio e insieme passione che mostra nel nostro colloquio. Abbiamo parlato del riordino dei cicli. Con mio stupore lui sostiene che non c’è motivo al mondo valido che impedisca ai nostri giovani di finire le scuole a diciotto anni con il diploma. Né serietà degli studi, né esubero del personale. A diciotto anni con la raggiunta maggiore età i ragazzi assolvono l’obbligo formativo. E quindi devono essere in condizione di lavorare con diploma o qualifica professionale ovvero di intraprendere percorsi universitari o d’istruzione superiore tecnico-professionale. Per il riordino dei cicli si rifà a Berlinguer: la riduzione degli anni di studio da tredici a dodici non può riguardare un solo ordine di scuole, deve toccare elementari, medie e superiori, senza escludere la scuola dell’infanzia. Pensa a tre cicli di quattro anni ciascuno, preceduti da tre anni di materna, di cui almeno uno obbligatorio. Non gli dispiace l’apertura delle frontiere tra i diversi ordini di scuola e una contaminazione dei relativi insegnanti. È la volta buona che si parli di scuola e non di scuole, di continuità reale in un unico curriculum e di professione insegnante senza gerarchie. In tempi di liberalizzazioni rientrerebbero presto le ragioni delle corporazioni. Organico funzionale e organico di rete, se agli annunci seguissero i fatti, garantirebbero tempi scuola adeguati, una ricchezza di insegnamenti obbligatori e opzionali, l’utilizzo del personale di ruolo e la stabilizzazione di una grossa quota di precari. Il riordino dei cicli permetterà il superamento di tanti provvedimenti di questi ultimi anni, chiamati pomposamente riforme, senza scatenare guerre di religione. Sono ammirato dalle sue parole, io che, insieme a tanti, non sapevo come chiedere a Profumo e Rossi Doria di cancellare le riforme Moratti e Gelmini senza metterli in grave difficoltà. Poi l’amico precario comincia a parlare degli insegnanti, di reclutamento, stabilizzazione e formazione in servizio. Sono sfigati i precari della scuola, pure rispetto ai loro colleghi di università e ricerca, perché mentre questi sono considerati dei cervelli, loro sono considerati manovali, fannulloni e scansafatiche; mentre dei primi si chiede a gran voce la stabilizzazione, per loro si temono sanatorie che portino asini in cattedra. Questo sarà stato vero in passato ma oggi è diverso. La maggioranza dei precari della scuola ha lauree, abilitazioni, master, perfezionamenti. E, in più, servizi. Non capisce perché alcuni si siano scandalizzati alla prospettata ipotesi che, per la riconversione di insegnanti in esubero di varie materie in insegnanti di sostegno, fossero chiamati a fare da tutor proprio i precari di sostegno. Chi altro potrebbe farlo, chi ha più titoli ed esperienze di loro? Sarebbe meglio che ci si scandalizzasse all’ipotesi che insegnanti in esubero possano essere riconvertiti sul sostegno: non guasterebbe un po’ di rispetto in più per i precari di sostegno e per i disabili. L’unico punto su cui dice di essere d’accordo con me di quanto vado dicendo è questo: il vero problema oggi non è il reclutamento degli insegnanti, ma la formazione in servizio, la motivazione, l’organizzazione del lavoro. Per tutti: aggiunge pure lui. Trova logica e interessante la proposta del Ministro di destinare i tre quarti dei posti di ruolo ai precari e un quarto al concorso. Se ciò avvenisse, e se ci fossero tutti i posti di organico funzionale e di organico di rete, lui sarebbe pronto a sposare posizioni radicali, e cioè abilitazioni e concorsi solo per i giovani laureati e non anche per i precari o gli insegnanti di ruolo. Gli insegnanti di ruolo dovrebbero dare più appoggio agli insegnanti precari e agli aspiranti docenti. Trova veramente sgradevole che pseudo sindacati e uffici legali lavorino a dividere e contrapporre i lavoratori della scuola. A pensarci bene, è la seconda cosa su cui è d’accordo con me: dice, sorridendo, mentre mi saluta. Va a una convocazione in un istituto superiore per una “eventuale” supplenza di quindici giorni.

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