Franco Buccino
L’anno scolastico che sta per concludersi, da molti è stato già archiviato. E dimenticato. Un anno incolore, che non è riuscito a smuovere nessuno. I docenti, con il restante personale della scuola, hanno fatto poche battaglie, poche proteste. Gli studenti, dopo novembre, non si sono visti; perfino i riti dell’occupazione si sono svolti in tono minore. Le discussioni sui temi caldi hanno languito. Anche i media si sono interessati poco di scuola. È come una stanca partita che non emoziona, non coinvolge, con tanti spettatori che se ne vanno prima del fischio finale.
Ma le partite, si sa, sono importanti al di là dell’agonismo e dello spettacolo; è il risultato, i punti, quello che conta. L’anno scolastico si è dipanato tra l’applicazione della riforma Gelmini e gli annunci solenni, ridimensionati, stravolti, annullati del ministro Profumo. Il governo Monti aveva suscitato molte speranze, che si stanno man mano spegnendo. Quelle sulla scuola sono state stoppate subito: quando si è capito che le ultime riforme non venivano messe in discussione, non venivano fermate. E continuano a far danni: dimensionamento selvaggio della rete scolastica; tempo pieno e tempo prolungato tagliati; tempo scuola ridotto anche alle superiori; classi di concorso, che poi vuol dire materie d’insegnamento, nel caos perché non si sa quali sono e a quali docenti sono assegnate. A una scuola così ci si disaffeziona in molti, a cominciare dagli studenti e da quanti vi lavorano. E il ministro, serafico, senza cogliere la drammaticità della situazione, annuncia a più riprese un nuovo reclutamento, nuovi corsi di abilitazione, nuovi concorsi. Uno all’anno, per l’esattezza. Ignorando che la sua amministrazione non ne bandisce più dal ’99 perché non è in grado di gestirli.
Alle scuole frastornate per i colpi subiti e stremate per la riduzione di risorse d’ogni tipo, Profumo e i suoi sottosegretari annunciano, con enfasi, non che la situazione migliorerà, ma che nell’anno prossimo non ci saranno nuovi tagli. Forse perché non se ne possono fare più. Ma non è vero, perché hanno messo mano alla riconversione dei docenti in esubero. Già in prima battuta diecimila docenti sono di troppo. Diecimila esuberi vuol dire diecimila tagli di docenti precari. Fin dal prossimo anno, se ci riescono. E la riconversione è sul sostegno, riguarda gli alunni disabili.
Con organici ridotti e poche risorse finanziarie, le scuole per pudore neanche li presentano più i piani dell’offerta formativa. È questo il contesto nel quale è stato calato il discorso sul merito. Un discorso che sarebbe legittimo, legittime perfino soluzioni bizzarre come l’elezione dell’alunno dell’anno o gli sgravi fiscali a chi offre lavoro ai diplomati eccellenti. Se non fosse che il discorso sul merito è funzionale ai tagli e alle pseudo riforme che hanno depauperato l’offerta delle scuole. È in affanno la scuola, figuriamoci gli studenti: e allora non c’è niente di meglio per alcuni che andare a cercare quelli più bravi e premiarli. A dimostrazione che si può riuscire nonostante l’austero ridimensionamento. Anzi, in una scuola finalmente con tempi nordeuropei c’è chi riesce: i migliori. A Napoli come a Milano. Costa pure poco il merito. Trenta milioni, come ci ha ricordato Profumo. E con un’altra manciata di milioni si affronta anche il problema degli ultimi, degli svantaggiati, di quelli che li devono andare a cercare i maestri di strada. Insomma, si risolvono, forse, i problemi del due per cento degli alunni, fra studenti dell’anno e drop-out, e si abbandonano al loro destino, alla mediocrità, all’inutilità di vuoti titoli di studio, il novantotto per cento degli studenti.
Ma cosa ci si aspetta da una scuola che è stata destrutturata, da una scuola alla quale sono stati sottratti in breve tempo otto miliardi di euro. Fino ai centesimi. Se non ci sarà l’inversione di tendenza e la restituzione del maltolto, ogni proposta, oggi il merito, ieri la serietà e la severità, domani la scuola paritaria, sarà sempre al servizio di chi vuole abbattere l’istruzione pubblica, quella di cui parla la Costituzione. E, mentre si discutono improbabili progetti, c’è chi continua a spogliare le scuole sotto le macerie. Un po’ come gli sciacalli all’indomani del terremoto.