Franco Buccino
I sogni dei nostri ragazzi s’infrangono ogni giorno contro il muro della realtà. Una realtà grigia, fatta di ingiustizie, soprusi, cattivi esempi; di sacrifici, difficoltà, volti dei genitori spesso tristi e tirati; di una scuola poco accogliente, sempre più povera, condannata ad essere selettiva e luogo di disparità sociale, più di prima. Cresce in loro la rabbia per essere tenuti ai margini dei processi attraverso i quali è pianificato il loro futuro, anticipato già oggi da una condizione diffusa tra i precari di ridotti diritti fondamentali: lavoro, welfare, partecipazione e beni comuni. E i loro progetti si ridimensionano profondamente.
Le scuole, naturali interpreti dei loro sogni e delle loro aspirazioni, assistono sgomente a questa metamorfosi: i giovani da animatori e protagonisti del cambiamento a spettatori inerti e vittime di questa strana stagione politica e sociale. Nella quale si è deciso di uscire dalla spaventosa crisi economica, salvando pochi e condannando molti, con il consenso dei più. Ma non dei giovani; e neanche delle scuole, che vedono e denunciano lo stravolgimento della loro missione.
Si dice ormai da tempo che il nostro paese per uscire dalla crisi, oltre a fare sacrifici, debba puntare sulla conoscenza e sull’innovazione. Ci si aspettava quindi un occhio di riguardo per il sistema di istruzione e ricerca, invece esso per primo è stato preso di mira dai governi di centrodestra e ora dal governo dei tecnici, destrutturato, depauperato, reso irriconoscibile. L’onda lunga delle “riforme Gelmini” continua a tagliare in contemporanea materie di studio, ore di lezione e insegnanti; i docenti in esubero prendono il posto dei precari e vengono riconvertiti senza entusiasmo sul sostegno, mentre il fondo per il funzionamento delle scuole è ridotto al lumicino. Il governo in carica porta fuori strada con inverosimili discorsi sul merito e problematici concorsi nella scuola; poi, di tanto in tanto, le assesta colpi micidiali, come l’orario dei docenti della secondaria da diciotto a ventiquattro ore. Per via delle proteste fa marcia indietro. Ma se i docenti di ruolo tirano un sospiro di sollievo, i precari, quelli sopravvissuti alla strage, tremano. Perché le operazioni devono essere “a saldi invariati”: qualcuno deve pagare.
Senza fondi e personale sufficienti le scuole incontrano enormi difficoltà a progettare e programmare. Progetto e programmazione sono gli strumenti ordinari delle scuole: conoscere i propri alunni e costruire per loro il curricolo, le materie, le lezioni, le attività integrative. Il progetto di una scuola non è uguale a quello di un’altra. Questa specificità che doveva esaltarsi con l’autonomia, l’organico aggiuntivo, più risorse e sinergie con il territorio, si è ridotto negli ultimi anni a uno strumento per gestire la crisi: le scuole si sono ingegnate a fare offerte didattiche dignitose, anche con poche risorse umane e finanziarie e grazie al contributo generoso dei genitori degli alunni. Ma oggi c’è poco da progettare; senza risorse e con insegnanti solo per lezioni frontali, la preoccupazione diventa quella di “coprire” le classi in qualche modo. E sembra una fortuna che si sia ridotto il tempo scuola: altro che tempo pieno e prolungato, laboratori e compresenze.
Le scuole del sud, come quelle napoletane, già rimaste vistosamente indietro, con la crisi di questi anni e le sciagurate politiche scolastiche che l’accompagnano, hanno perso ogni speranza di recuperare posizioni, di ottenere edifici adeguati e sicuri, palestre e laboratori, classi a tempo pieno, interventi sostanziosi degli enti locali a loro volta in affanno per i tagli che subiscono. I loro alunni continuano ad occupare gli ultimi posti per prestazioni e rendimento, e alle regioni meridionali tocca il triste primato della dispersione scolastica. È chiaro a tutti come affrontare e risolvere i problemi delle scuole a Napoli e nel mezzogiorno: facendo con coraggio significativi investimenti. Solo il governo la pensa diversamente; vuole combattere la dispersione finanziando con i fondi europei progetti capaci di produrre “prototipi” da generalizzare successivamente in tutta Italia. Come si sa, nel mezzogiorno e nella scuola il termine “progetto” ha cambiato completamente significato, è diventato un’azione a termine che riceve uno specifico finanziamento, un modo per recuperare dei soldi, per far lavorare per un po’ qualcuno. Che finito il finanziamento quell’azione virtuosa possa continuare non ci crede nessuno, né chi la fa, né chi la finanzia.
Abbiamo esempi storici di progetti contro la dispersione scolastica. Proprio a Napoli, qualche anno fa, sotto la supervisione dei maestri di strada, un gruppo di insegnanti, coadiuvati da una serie di figure messe a disposizione da Comune e Provincia, andava a cercare i dispersi e li portava a scuola, li incentivava con la paghetta, con la piscina e tante altre attività. Un’iniziativa che per quello che costava non poteva durare, come quasi tutti i “progetti”, figuriamoci se si poteva diffondere, se poteva divenire un prototipo. Eppure a Scampia, luogo famoso per le vele, lo spaccio e per il concentrato di progetti che vi si realizzano, un paio di mesi fa è stata presentata con molta enfasi l’ennesima iniziativa che produrrà nell’Italia meridionale cento prototipi di lotta alla dispersione. E recentemente, a Torino, ho sentito una mia collega, preside a Scampia appunto, che presentava la sua scuola a tempo pieno e con mille progetti come se fosse una normale scuola napoletana. Né lei, né Marco Rossi Doria, pure presente, riportavano a quella platea nazionale la drammatica situazione della stragrande maggioranza delle nostre scuole e le cause reali che la determinano. Il sottosegretario parlava di buone pratiche, di generosità dei docenti e degli operatori sociali, ma non metteva in relazione i dati sulla dispersione con le politiche scolastiche dei vari governi, compreso il suo.
Per far riprendere i ragazzi a sperare e sorridere pensando al futuro, la scuola gioca un ruolo importante. Occorre perciò sostenerla oggi in modo concreto e coraggioso nelle sue iniziative e nei suoi progetti. A nulla servono i surrogati.