Franco Buccino
Qualche giorno fa mi telefona la nonna di Luca. Il ragazzo “diversamente abile”, di cui ho parlato l’anno scorso, perché se l’era fatta sotto a scuola, e lei era corsa a cambiarlo mentre l’assistente materiale assisteva a braccia conserte e un po’ accigliata. Prima con voce commossa e orgogliosa mi parla di lui. “Lo sai, s’è fatto più alto di me; è un giovanotto ormai”. E poi con voce preoccupata e un po’ stanca mi dice delle difficoltà che ha incontrato anche quest’anno a scuola, anticipazione e presagio di ben più difficili future integrazioni. Di mattina si aspettava una telefonata dall’istituto, che arrivava spesso, in genere verso le otto e venti. Era il vicepreside che le comunicava l’assenza di docenti, dell’insegnante di sostegno, dell’assistente materiale. “Valuti lei se accompagnare Luca a scuola stamattina. Sa, signora, è per legge che devo avvisarla”, si giustificava come se fosse vero. E lei ogni volta combattuta se tenersi il nipote a casa o se portarlo comunque a scuola. Istintivamente, per il suo carattere e la rabbia che ha dentro, lo avrebbe portato sempre, se non fosse che a volte non ce la faceva a sentirsi addosso quegli sguardi severi e critici quando arrivava con il nipote. Come se stesse approfittando di qualcosa. E però si è stancata un po’ di andare avanti e indietro a tutte le ore. Una volta il ragazzo entrava più tardi, una volta usciva prima. “Non dovrebbero essere i più garantiti e tutelati nella frequenza a scuola?”, chiede con tono disarmante.
A scuola hanno cominciato a mettere le mani avanti su che cosa succederà l’anno prossimo per il sostegno. C’è una ragazza gravemente handicappata che con quest’anno ha finito la frequenza: perché ha compiuto diciott’anni. Per lei c’erano tante ore di sostegno, praticamente “inutili” e ripartite tra gli altri ragazzi disabili. Dall’anno prossimo queste ore non ci saranno più. Caleranno opportunità e protezioni, dice la nonna. Sono d’accordo con lei. Si riducono le ore di sostegno e le scuole si devono industriare. A volte, purtroppo si ricomincia a raggruppare questi ragazzi in nuove e più subdole classi speciali e differenziali: aule di apprendimento, laboratori specifici, angoli attrezzati in palestra. Ogni soluzione è buona purché stiano lontani il più possibile dalla classe e dai compagni “normali” che devono studiare, sostenere le prove Invalsi, fare gli esami. Ma, quel che è peggio, continua ad aleggiare lo spettro di “una preparazione diffusa” di tutti gli insegnanti sull’integrazione degli handicappati, che elimini l’esigenza del sostegno specifico. Si ricadrà nel vecchio equivoco che gli alunni sono tutti uguali. E per quelli che hanno esigenze diverse non ci sarà più spazio. Nel frattempo le ore di sostegno si conquistano nelle aule dei tribunali. Ma la nonna di Luca, e soprattutto il papà, non se la sentono di intraprendere questa strada un po’ umiliante.
Parla infine di un’altra difficoltà che ha incontrato quest’anno: la gita scolastica. Pensa, come tutti, che la gita sia uno dei momenti più importanti di integrazione. Convengo con lei: con il viaggio i ragazzi stabiliscono un rapporto e una relazione diversa tra loro, con gli insegnanti e con il mondo fuori della scuola. La nonna ritiene che forse la scuola dovrebbe prepararsi e organizzarsi per far partecipare tutti. Invece se la cava proponendo la partecipazione dell’handicappato se accompagnato da un familiare. Lei ha le idee molto chiare su come risolvere la questione. La scuola dovrebbe individuare una meta e un percorso che tenga conto della partecipazione di tutti. Anche l’autobus da richiedere alla ditta di trasporto dovrebbe essere adatto a tutti e alle diverse esigenze. Alla gita o viaggio dovrebbero partecipare l’insegnante di sostegno e comunque l’assistente materiale. Solo a questo punto si potrebbe valutare con la famiglia l’eventuale partecipazione di un congiunto del ragazzo, con spese a carico della scuola e dell’intera classe. Questo in teoria; in pratica, dice, voleva accompagnare il nipote versando la propria quota. Poi non lo ha mandato, assumendosi la responsabilità della scelta. E così la scuola ha salvato la faccia. D’altra parte la signora coglie bene, oltre quelle della scuola, le vere responsabilità di chi, al governo, ha deciso da tempo di ridurre e ridimensionare i diritti degli alunni. Cominciando, come sempre, da quelli più fragili.
È sempre molto istruttivo il colloquio con la nonna di Luca. Attenta, combattiva e sensibile, che dedica tutta la vita al nipote, ma che contribuisce anche a migliorare la scuola, orientandola a essere più attenta ai bisogni e ai problemi di ogni singolo alunno.