Franco Buccino
Sono barrese di adozione. A Barra mi legano fili intrecciati con persone, alunni, insegnanti, compagni, amici, famiglie. Dai tempi del parroco Petrone che educava, insieme, a una fede più adulta, matura, e al senso civico, alla legalità, alla solidarietà, prima a Barra e poi a Ponticelli; dai tempi del sindacato scuola unitario della zona orientale, con sede in una scuola al corso San Giovanni, dove si discuteva di riforma della scuola, oltre che di doppi e tripli turni. Consiglierei quanti sono impegnati nel cambiamento e rinnovamento della società di farsi adottare da un quartiere di periferia. Come Barra, San Giovanni, Ponticelli, Scampia, Piscinola, Pianura, Bagnoli. Ne uscirebbero arricchiti sul piano umano e ne ricaverebbero molto in termini di conoscenza di tutta la città, soprattutto di quello che non appare, come l’impegno civico di tanti cittadini. E saprebbero naturalmente descrivere e rappresentare in modo meno superficiale e scontato le periferie della città.
In questi quartieri di periferia avvengono quotidiani fatti straordinari: raccolta differenziata, lezioni di filosofia in una scuola elementare, gruppi di auto mutuo aiuto, maestri di strada, esercizio ordinario di cittadinanza attiva, autogestione di spazi comuni nei rioni popolari, centri sportivi frequentati anche da fuori quartiere, una miriade di associazioni del terzo settore incardinate nel territorio, parrocchie con pastorale “avanzata”, gruppi di impegno politico. “Ma allora non sono quartieri a rischio?”, ci si potrebbe chiedere con qualche preoccupazione. State tranquilli: sono a rischio. Nell’elenco degli avvenimenti, i quotidiani fatti straordinari sono subissati da “ordinarie” azioni criminali, dalle gesta delle famiglie camorriste, da episodi di contrabbando, contraffazioni e frodi alimentari, da evasione e dispersione scolastica, microcriminalità, baby gang, da comportamenti incivili, il tutto accompagnato da grandi inchieste sulla malavita organizzata e da faraonici progetti regionali, nazionali ed europei per combattere tutti questi mali.
Tirano un sospiro di sollievo in tanti. In troppi. A cominciare da molti politici, che sulle contraddizioni dei quartieri di periferia hanno costruito la loro immagine, la loro visibilità. E poi l’amministrazione comunale che nelle difficoltà “oggettive” della periferia trova una giustificazione alle sue inadempienze. Seguita a ruota da molti impiegati comunali e pubblici, pronti a denunciare aggressioni fisiche e verbali, ma lenti a essere solleciti e responsabili. I vigili urbani che si vedono quasi esclusivamente negli uffici delle municipalità, raramente per strada. Le forze dell’ordine che presidiano, con ingenti mezzi, i quartieri a rischio: ma, così prese dalla lotta alla camorra e alla criminalità organizzata, ignorano microcriminalità, piccoli delinquenti, reati minori, infrazioni al codice della strada, borseggiatori; sembra che addirittura li tollerino.
Pensare che nei quartieri di periferia si possa non fumare in luoghi pubblici, rispettare i segnali stradali, emettere gli scontrini fiscali, depositare la spazzatura negli orari e nei luoghi stabiliti, per parecchi significa rincorrere vane utopie. E frattanto anche molti medici fumano negli ambulatori, e insegnanti nelle aule scolastiche. Perfino alcune associazioni e organizzazioni del Terzo Settore trovano scorciatoie: camuffano lavoro nero per volontariato, speculano sui pacchi alimentari, fanno qualche progetto solo sulla carta. Sfidano i controlli, così difficili in un quartiere a rischio! Fasce consistenti di abitanti di questi quartieri si convincono che devono farsi furbi, che devono adeguarsi: occupare un po’ di spazio pubblico con il loro esercizio commerciale, non pagare l’abbonamento alla televisione, mettere la pellicola nel contatore della corrente, ecc.
Non ci rendiamo conto che In questi quartieri lo stato di rischio è costruito. Spesso in modo interessato. Si ricorda e si racconta di molte di queste zone quando non erano periferie della città, ma autonome località amene e tranquille: con il verde, i prodotti e le attività tipiche, le usanze e le tradizioni. Non hanno potuto avere uno sviluppo normale come tanti altri posti, ma sono state ingoiate dalla città, come un’antilope intera da un enorme serpente. Nel corso degli anni sono arrivati abitanti di altri quartieri, in tanti, quasi deportati, spesso fragili, deboli, alcuni anche con dei precedenti penali. Sono cresciuti a dismisura questi quartieri, senza regole: gli abitanti, in gran parte, sono le vittime di tale situazione e non la causa del rischio; pagano per colpe che spesso non sono le loro. Se ne sono accorti da tempo quelli che hanno scelto di compiere nelle periferie straordinarie azioni quotidiane, piene di senso civico e cittadinanza attiva, fiduciosi di poter ribaltare tale situazione.
Occorrerebbe dare spazio a tali azioni e non enfatizzare più del necessario gli episodi negativi. Per esempio, quella notte di qualche mese fa a Barra non c’era un intero quartiere in rivolta. Solamente una cinquantina di scalmanati si opponevano all’arresto di un latitante. Gli altri dormivano: molti indifferenti, apatici e pronti ad adeguarsi; ma in tanti dormivano per riprendere l’indomani la loro battaglia contro i mali del quartiere. E contro quanti lucrano sulle periferie a rischio.