Franco Buccino
(Repubblica ed. Napoli 20 settembre 2015)
L’anno scolastico, anche a Napoli, è cominciato in tono dimesso: se n’è parlato poco. Non c’è più quell’atmosfera del primo giorno: i ragazzi, dalle elementari, arrivano con smartphone e tablet; i genitori neanche li accompagnano; gli insegnanti, tranne qualcuno, hanno altro a cui pensare; inutile cercare lacrime, bronci, nastri e grembiuli, gessi, lavagne e odore di scuola. E poi la scena l’hanno rubata altri avvenimenti. Da mesi si parla ogni giorno del piano assunzioni dei precari e di “buona scuola”, quella del premier Matteo Renzi. Non tenuta in grande considerazione dagli studenti delle superiori che hanno già esposto striscioni di protesta. Neanche i precari sono contenti: pochi in più finora sono passati di ruolo e per province lontane; hanno ottenuto quest’anno la supplenza in casa e per tempo, ma nella fretta gli uffici scolastici hanno fatto molti errori. Come ogni anno.
Ma poi c’è stato altro di cui interessarsi in queste ultime settimane: criminali vecchi e nuovi, morti ammazzati, perfino ragazzi, sparatorie in pieno centro, “paranze di bambini”, cittadini terrorizzati. Episodi così gravi che hanno innescato reazioni d’ogni tipo, manifestazioni, fiaccolate, e poi discussioni, discussioni interminabili, fiumi di parole, polemiche, stomachevoli strumentalizzazioni politiche. Tra l’altro si è detto che le scuole hanno perso l’occasione di dare avvio all’anno scolastico partecipando alle iniziative contro la malavita organizzata, per la legalità. In realtà è stata una fortuna non prender parte a tali iniziative. Perché, diciamocelo, gli studenti e le loro scuole sono stanchi di essere coinvolti e qualche volta obbligati a partecipare a commemorazioni, anniversari, sempre da spettatori mai da protagonisti. Speriamo che durante l’anno scolastico trovino il tempo per approfondire il triste fenomeno che condiziona il loro presente e il loro futuro, e che facciano esperienze concrete di democrazia partecipata e di legalità.
E soprattutto speriamo che le scuole siano messe in condizione di svolgere il loro compito primario con adeguate risorse umane e materiali. Proprio in questi giorni Save the Children ha pubblicato un rapporto sullo stato della scuola nella nostra regione. Alcuni dati: un adolescente su tre, in Campania, è sotto la soglia minima di competenze in matematica. Uno su quattro in lettura. I dati diventano ancora più drammatici in quartieri come la Sanità e Barra, dove l’associazione ha aperto “punti luce” per combattere la povertà educativa. Una povertà che, come tutte le povertà, nasce da mancati interventi pubblici o da interventi sbagliati. In questi giorni in cui tutti parlano e scrivono del quartiere Sanità, la cosa più interessante l’ho trovata in una lettera pubblicata su Repubblica da un consigliere della terza municipalità: un lungo elenco di chiusure e tagli nel quartiere, dall’ospedale ai presidi sanitari, ai servizi sociali, culturali, alle scuole. Le scuole nelle aree a rischio dovevano salvarsi dal processo di dimensionamento e dai tagli, invece sono state le prime ad essere colpite. Le conseguenze sono dispersione e devianze. E c’è chi continua a teorizzare la necessità di faraonici progetti di recupero su tali fenomeni conclamati anziché di interventi ordinari sulle cause che li originano.
All’inizio dell’anno scolastico, a Napoli e in Campania, occorrerebbe riflettere sul destino delle scuole e sul carattere esemplare delle loro storie. Anche per comprendere gli episodi di criminalità di queste settimane. Per capire che siamo vittime non solo della malavita. E per non rassegnarci, forti della generosità dei nostri studenti.