Ma per i precari nulla è cambiato con la riforma del governo

(Scuola, per i precari nulla è cambiato)
Franco Buccino
(Repubblica ed. Napoli, 2 agosto 2016)
L’atteso e temuto esito della mobilità nella scuola elementare, ora primaria, alla fine è arrivato, portando lo sconforto tra migliaia e migliaia di docenti e relative famiglie. Anche a Napoli e in Campania tantissimi insegnanti della scuola primaria hanno avuto come destinazione il Nord, e anche da noi innumerevoli sono le lamentele e le denunce sulla scarsa trasparenza delle operazioni. Il Miur evidentemente, rendendosi conto di innescare una vera e propria bomba ad orologeria, ha prima fatto slittare la data di pubblicazione dal martedì a un più comodo venerdì, illudendosi che il weekend potesse far decantare la situazione, e poi ha creato una cortina fumogena, omettendo dall’elenco dati che ne permettessero un’adeguata lettura e comprensione. Il risultato è che prima ancora di riaprire già è assediato da tutte le parti.
Sappiamo purtroppo che pochi saranno gli errori nel movimento: la categoria viene divisa in un numero impressionante di gruppi e sottogruppi, coinvolti in fasi diverse e sempre secondo un rigoroso ordine di precedenze e preferenze. Un’operazione assurda e ingarbugliata: è difficile venirne a capo. Ma, come ha fatto l’anno scorso, l’Amministrazione proverà a rimandare di un altro anno per molti il raggiungimento della sede definitiva. Attraverso lo strumento delle utilizzazioni e assegnazioni provvisorie. In tanti continueranno ad occupare, ironia del destino, gli stessi posti degli anni scorsi, sempre per un anno. Non è cambiato gran che in questo mondo di precari. Sono passati di ruolo, è vero; ma hanno sempre sulla testa la spada di Damocle della sede al Nord.
Per amore della verità bisogna dire che, nonostante il doloroso esodo di tanti docenti, rimarrà il Sud ingolfato di docenti di ruolo, mentre ricorreranno al Nord ancora ai supplenti annuali: gli stessi che nonostante gli anni di servizio, sono rimasti fuori dalla stabilizzazione. Anche loro quasi tutti meridionali, da anni costretti ad emigrare e per niente rassegnati, anche se non si vedono prospettive. Fino a verso la fine del secolo scorso il sistema reclutamento funzionava attraverso un passaggio per i più dal sud al nord e poi di nuovo al sud; qualche fortunato evitava il passaggio al nord e passava direttamente dalle supplenze al ruolo nella propria regione. Poi sono accadute due cose impreviste che hanno fatto saltare questo sistema: la cancellazione sistematica di migliaia di cattedre (come non ricordare la famigerata riforma Gelmini) e poi la riforma delle pensioni, la cosiddetta riforma Fornero, che ha messo un tappo su tutto il sistema reclutamento, basato sul ricambio.
Da allora è stata una guerra senza quartiere fra precari e amministrazione, fra precari e docenti di ruolo, fra gli stessi precari. Uno sviluppo abnorme del mercato dei titoli di università private, pubbliche e telematiche. Un diffondersi di scuole private e paritarie con più docenti che studenti. Un fiorire di uffici legali che controllano spesso i sindacati e a volte si sostituiscono ad essi. Un aumento del tutto ingiustificato di 104, invalidità, con relative riserve. Perfino la pratica della compravendita di titoli e servizi falsificati d’ogni genere. L’amministrazione scolastica ha fatto la sua parte: con concorsi inopportuni e che non ha saputo gestire; con riconversioni di docenti in esubero che non ha saputo utilizzare; con l’accanimento nel distruggere ogni traccia dei pochi strumenti innovativi di cui le scuole disponevano.
Poi è venuto Renzi e ha acceso le speranze di molti. Con un programma ambizioso: soprattutto docenti stabilizzati e un organico aggiuntivo per arricchire l’offerta formativa delle scuole, e poi la possibilità di ottenere alcuni docenti per realizzare parti specifiche del Pof e il riconoscimento del merito. E invece la realtà è ben diversa. Fasce importanti di precari escluse dalla stabilizzazione, organico per ambiti territoriali, chiamata diretta assurdamente generalizzata, il merito lasciato nel limbo dell’ambiguità.
Soprattutto la presunzione legata all’approssimazione con cui si è affrontata la stabilizzazione dei docenti: un piano diventato nazionale e non più territoriale, l’obbligo di scegliere le 100 province, gli ambiti anziché le scuole, i grossi limiti di questo piano straordinario di mobilità.
Troppa superficialità anche quando sono in gioco i destini di migliaia di persone. Prendiamoci un anno di tempo per provare a rimediare tutti assieme alle cose che non hanno funzionato, chiedendo al governo e alla collettività un ultimo grande impegno e sacrificio: favorire il pensionamento di una categoria sottoposta a un lavoro usurante (abbiamo i docenti più “vecchi” d’Europa) e stabilizzare i docenti esclusi che hanno il requisito dei trentasei mesi di servizio. Credo che sia il modo più concreto e utile di esprimere la nostra vicinanza ai colleghi oggi in sofferenza.

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