E SE LE SCUOLE, D’ESTATE, AL POSTO DI APRIRLE, NON LE CHIUDESSIMO?

Franco Buccino
Le lezioni nelle scuole terminano intorno al 10 giugno e riprendono verso il 15 settembre. Considerando che dalla fine di maggio a scuola non va quasi più nessuno e che a settembre, tra orari ridotti, rotazioni, carenza di docenti e aule, si va a regime solo verso fine mese, è evidente che i nostri ragazzi rimangono scoperti sul versante scolastico per circa quattro mesi, un terzo dell’intero anno. Ogni anno! Tale “scopertura” è un fatto socialmente così rilevante che numerosi soggetti esterni alla scuola hanno provato e provano a interessarsi dei ragazzi, e della loro formazione, nel periodo estivo. Senza andare troppo indietro nel tempo, dagli anni cinquanta in poi, abbiamo fatto esperienza di colonie estive, sia quelle in mastodontici edifici di enti pubblici e privati per i figli dei dipendenti, sia quelle più artigianali delle parrocchie e di gruppi di impegno sociale destinate soprattutto ai ragazzi delle periferie e delle zone più difficili; i campi scuola gestiti dalle associazioni; i viaggi di studio all’estero per chi se li può permettere; perfino gli stage, che a volte non sono altro che lavoro stagionale camuffato, ecc. Tutte queste iniziative hanno in comune il voler mettere assieme formazione e tempo libero, studio e attività ricreative dei ragazzi, sempre riuniti in gruppo. Insomma apprendimento e socialità, come avviene a scuola.
Ma perché la scuola chiude per quasi quattro mesi all’anno? Con qualche reticenza e un po’ di ipocrisia si risponde che a giugno e luglio si fanno esami, ci sono inoltre gli scrutini e tutti gli adempimenti burocratici; che nella prima metà di settembre si fa la programmazione e si organizzano le attività del nuovo anno. La verità è che la maggioranza degli alunni non è coinvolta negli esami, lascia la scuola alla fine di maggio e la rivede a settembre inoltrato. Anche la maggioranza degli insegnanti rimane fuori dagli esami, assolve in tempi contenuti ai vari adempimenti, e comunque lasciano la loro attività principale, “insegnare”, “fare lezione”, per circa quattro mesi. Eccetto i “fortunati” che fanno preparazioni e ripetizioni estive, rigorosamente a nero. Gli unici sempre presenti a scuola sono gli Ata, amministrativi, tecnici e ausiliari; a differenza dei docenti, per loro esistono solo giorni lavorativi e ferie, ma non vacanze. Magari, d’estate, aspettano che preside e segretario vadano via, per lasciare anche loro in anticipo gli ampi spazi, muti e vuoti: corridoi, aule, palestre. D’estate, diciamocelo, c’è un grande spreco di risorse, di forza lavoro, di attività non svolte.
Dovrebbero ricordarselo i nuovi eroi che con sforzi titanici cercano di aprire d’estate le scuole che essi stessi decidono di chiudere. Hanno le “chiavi” per aprirle: edifici, docenti e personale. Non hanno bisogno di risorse aggiuntive. Quello che loro, a cominciare dal ministro Giannini, hanno in mente, “scuole aperte d’estate”, è un progetto, con relativo piccolo finanziamento, un progetto che vede il coinvolgimento di chi lo vuol fare tra i docenti e di associazioni del territorio. Che non è poco, anzi è lodevole e controtendenza rispetto all’indifferenza diffusa, ma non è certo l’attività corale dell’intera scuola, non è un capitolo della sua programmazione, non è una fase strategica della sua attività. Negli anni novanta ci capitò di fare un’esperienza nella mia scuola che chiamammo “Vivi la scuola”. Poiché i ragazzi, come avviene oggi, si ritiravano verso la fine di maggio, non essendo noi riusciti a dissuaderli neppure con lo spauracchio di non scrutinarli e di non esporre i “quadri” cioè i risultati, decidemmo di fare nei primi nove giorni di giugno solo attività che avrebbero sicuramente gradito. E piacquero tanto che volevano continuare a frequentare anche dopo il nove.
Erano le solite attività extracurricolari, e però i docenti ci misero qualcosa in più: di impegno, di professionalità, di umanità. La collega di inglese, da sempre contraria al tempo prolungato e alle recite di fine anno, preparò con i suoi alunni una tipica colazione inglese con uova strapazzate e bacon, toast e marmellate, the e caffè lungo, servita da “personale” che parlava solo inglese. L’insegnante di educazione artistica scovò dei cavalletti ancora imballati nei depositi della scuola, li piazzò nei giardini, curati per la prima volta da una squadra di alunni, e lì pittori e pittrici in abiti ottocenteschi dipingevano. Il professore di matematica scoprì le osservazioni scientifiche, un po’ trascurate nelle sue lezioni, grazie anche a una capannina meteorologica. Il professore di educazione fisica finalmente non ebbe più il tempo di fare la corte alla collega, impegnato com’era tra calcio, pallavolo e atletica, allenamenti, arbitraggi e pronto soccorso. E un altro gruppo di docenti, me compreso, fummo emotivamente coinvolti con i ragazzi più grandi nella visione di film come “Stand by me”. Capimmo per tempo che il successo dell’iniziativa era dovuta al fatto che studenti e insegnanti avevano vissuto assieme quest’esperienza, come le lezioni e le altre attività didattiche durante l’anno. La scuola aveva continuato ad essere scuola anche in quei giorni.
Senza nulla togliere alle altre “agenzie formative” c’è una titolarità della scuola e dei suoi docenti che la rende unica e affascinante. Con un po’ di buona volontà, rispettando le ferie dei docenti e le vacanze degli alunni, si può allungare e il tempo delle attività didattiche a scuola durante l’estate. Le scuole potranno rimanere chiuse per ferie per un breve, brevissimo, periodo. Nelle altre settimane, non sempre gli stessi alunni, non sempre con gli stessi insegnanti, la scuola funziona regolarmente!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *