Franco Buccino
(REPUBBLICA ED. NAPOLI, 16 MARZO 2017)
Si parla molto in questi giorni del diritto a porre fine alla propria vita in alcune situazioni estreme. Speculare ad esso è il diritto a vivere, a vivere in maniera dignitosa, anche per le persone affette da gravi disabilità. Il primo appassiona molto l’opinione pubblica, gli addetti, gli esperti, i politici, i teologi; il secondo li lascia abbastanza indifferenti. Forse perché sul primo si emettono giudizi, punti di vista, si fanno polemiche, contrapposizioni; con il secondo bisogna confrontarsi, misurarsi, tutti i giorni, in tutte le situazioni. Del diritto alla vita delle persone con gravi disabilità non ne parla volentieri, se non per sostenere una qualche battaglia, neppure chi a loro dedica tutta la vita. Le mamme, i papà e pochissimi altri: lo sanno che la loro sofferenza e insieme determinazione, tristezza e amore, già è difficile capirle, figuriamoci condividerle e farle proprie. Eppure molti di noi, con le nostre associazioni e organizzazioni del Terzo Settore, dedichiamo anche alle persone con gravi disabilità parte del nostro tempo e delle nostre attività. La scuola, quella pubblica, da quarant’anni, le accoglie nelle classi normali dopo aver eliminato il ghetto delle classi speciali e differenziate. Anche i politici, nei luoghi istituzionali, il Parlamento, il Governo, le Regioni, pensano a loro con provvedimenti e leggi. Come l’ultima, quella detta del “Dopo di noi”, per favorire, sostenere e regolamentare quello che i genitori vogliono fare, a favore dei figli disabili, per quando non ci saranno più.
A pensarci bene, non è il massimo che lo Stato faccia una legge del genere. Significa ammettere che se non ci pensano i genitori al futuro dei figli con gravi disabilità, non ci pensa nessuno, di sicuro non lui. Del resto anche leggi più impegnative e più evolute per i disabili rimangono spesso inattuate per mancanza di risorse. E nelle politiche sociali nazionali siamo purtroppo abituati a veder tagliare fondi importanti come quello per la non autosufficienza. I servizi sociosanitari per le persone con disabilità gravi sono sempre inadeguati, e difficilmente vanno oltre il trasporto e la permanenza in un centro diurno con scarse o nessuna attività. Infine c’è un modo quasi odioso di mettere assieme anziani, persone con difficoltà economiche e persone con disabilità, che significa non rispettare le specificità di nessuno, fare d’ogni erba un fascio delle fragilità. Se lo stato non ha in grande considerazione i disabili, non gli è da meno la scuola. Che li coccola solo nel periodo delle iscrizioni, poi le classi si formano con più di venti alunni o con più disabili nella stessa classe, non sempre ci sono insegnanti di sostegno forniti del titolo in numero giusto e per un numero di ore adeguate. A volte mancano servizi esterni fondamentali come il trasporto e l’assistentato materiale. Spesso l’alunno disabile viene portato fuori dall’aula, e le cose non cambiano se è il resto della classe a uscire. Perché la cosa più drammatica che succede nelle scuole è fare programmazioni educativo-didattiche distinte, una per la classe e un’altra per lui.
Perfino le organizzazioni del Terzo Settore a volte non vanno oltre il servizio da erogare alle persone con disabilità gravi. Qualche volta usano strumentalmente il disabile e i suoi problemi per salvare il loro lavoro così spesso a rischio. Tante volte, associazioni di disabili e loro familiari sono inserite tra i partner di un progetto più ampio solo per il punteggio. Nelle associazioni, di volontariato e di promozione, prevale l’idea che le persone con disabilità gravi siano persone fragili, escluse spesso, che vanno aiutate o beneficate, a seconda della visione di volontariato che si ha.Ma non basta fare leggi a loro favore, farli stare a scuola, dedicare loro tempo e attività il Terzo Settore, se continuiamo a considerarli diversi e altro da noi. E se ci convincessimo che queste persone sono cittadini che vogliono e devono esercitare i loro diritti di cittadini e che noi, semplicemente, li sosteniamo nell’esercizio e nella rivendicazione di tali diritti? Che non sono altro da noi, che non sono diversi. Che è esattamente quello che pensano le mamme, i papà, i fratelli e le sorelle.