Franco Buccino
(Repubblica ed. Napoli 1 agosto 2017)
Nel 2008, quando ero al massimo della mia “potenza” come segretario della Flc Cgil della Campania (elezioni Rsu stravinte, prima Flc a nascere, eletto all’unanimità nel precedente congresso), il segretario nazionale, inaspettatamente, mi chiese di dimettermi. E io, dopo qualche timido tentativo di capire, senza nessuna protesta o guerra, mi dimisi. Non solo, ma tornai a scuola. Pensai che avessero in mente progetti importanti per il mio sindacato. Per questo senso di organizzazione ho provato a giustificare tutto ai dirigenti sindacali che ai vari livelli ho incontrato negli anni. Due cose solo non gli ho perdonato: il prendere le distanze da quei sindacalisti che loro stessi mandavano a fare lavori “sporchi” in Provveditorato e bollarli come malfattori; il percepire una pensione di gran lunga superiore a quella che gli toccava per qualifica lavorativa: prova lampante, per me, di disonestà.
I dirigenti scelti e mandati a governare la Flc a Napoli e in Campania, dopo la mia segreteria, non sono stati all’altezza della situazione, soprattutto non hanno saputo comporre contrasti e dissidi interni, che nascevano anche dalla rottura traumatica della precedente gestione, anzi ne sono diventati i maggiori alimentatori. In particolare non sono stati in grado di tenere in equilibrio e in compensazione Napoli e il resto della Campania. Questa storia è andata avanti per nove anni, ed è stata sotto gli occhi di tutto il sindacato. Missioni a vuoto del sindacato nazionale si sono ripetute sistematicamente. Il sindacato confederale locale blandiva ora una fazione, ora l’altra, prima di essere anch’esso travolto da guerre fratricide. Nuove generazioni di sindacalisti della scuola sono nate e si sono formate in tale clima. Chiunque fosse stato chiamato a ricoprire l’incarico di segretario a Napoli o in Campania, si sarebbe esposto a feroci polemiche del gruppo avverso.
Ma la proposta e la scelta di Gallo è stata ancora più infelice e più fragile. Per vari motivi. Il primo attiene alla sua storia sindacale che non l’ha visto passare attraverso tappe fondamentali di attività sul territorio con un adeguato riconoscimento dei militanti, che non siano i precari. Il secondo è che nell’immaginario collettivo è stato visto come una sorta di delfino della precedente segretaria, che andava ad occupare posti che sarebbero dovuti toccare ad altri che se li stavano guadagnando con il sudore della fronte. Stupisce che in questa vicenda non si colgano i veri motivi e si vada invece a indagare sulla formazione culturale delle persone, su idee professate forse in passato, sulle libertà “personali” come se fossero in antitesi alla capacità di rappresentare un’organizzazione composita.
I nodi vengono al pettine. I problemi non sono le interviste. Sbaglia chi pensa di salvare la sua posizione e il suo potere, salvando i diritti di Norberto giornalista. Secondo me chi ha denunciato Norberto appartiene al suo gruppo di riferimento e sicuramente non appartiene al gruppo giusto che è quello di chi s’impegna per ricostruire un clima sereno e di collaborazione. Non possiamo essere tutti Norberto, perché Norberto non è di tutti. Io non sono Norberto, così come non sono stato in vicende sindacali passate Ciccio o Paolo anziché Antonio o Claudio; così come, per arrivare a stagioni più recenti, non sono stato Michele anziché Antonella.