Franco Buccino
Repubblica ed. Napoli 21 luglio 2017
Quest’anno il Miur pensava di averla fatta franca: trasferimenti, assegnazioni e nuove nomine senza particolari intralci, ritardi, proteste; niente manifestazioni di precari, solo qualche timido sit-in di presidi, e anche i ricorsi, che in passato inondavano viale Trastevere, adesso erano tornati nella media. E invece la diga eretta per contenere il mare dei problemi del personale della scuola, una diga che è costata molti soldi, molte concessioni, molte deroghe alle norme che il governo stesso aveva varato, ebbene questa diga aveva ed ha il suo punto debole, il foro attraverso il quale passano e passeranno un esercito di precari e docenti scontenti rimettendo in forse l’equilibrio dell’intero sistema, della Buona scuola, nientemeno.
Si sono aggiornate le graduatorie dei supplenti nelle scuole. Gli aspiranti sono divisi in tre fasce: nella prima ci sono quelli presenti nelle famigerate Gae, gli elenchi provinciali, nel caso non avessero incarichi annuali; nella seconda gli insegnanti abilitati; nella terza quelli solo laureati. Esattamente come avveniva prima della legge, prima che centomila precari passassero di ruolo, prima che si andasse dicendo in giro che le supplenze sarebbero divenute del tutto residuali. E tutto il tempo che abbiamo trascorso a discutere su come reclutare gli insegnanti, una laurea nelle varie materie, specifica per divenire insegnanti, un tirocinio biennale presso una scuola. Tempo perso. Per non dire dei precari storici, cioè con anni di servizio, che continuano ad aspettare Tfa, corsi abilitanti e concorsi vecchia maniera.
La notizia rilevante non è che “Istanze on line” del Miur è andato in tilt per le settecentomila domande, ma che ci sono centinaia di migliaia di domande di supplenza che continueranno ad arrivare alle scuole. E che, per come è rimasta inalterata l’organizzazione, ci saranno migliaia di aspiranti docenti che, soprattutto facendo domanda in scuole del Nord, cominceranno a fare anni di insegnamento senza altro titolo che la laurea. Si ripeterà l’eterna storia del precariato, con le giuste e sacrosante rivendicazioni di chi lavora per anni e pretende la stabilizzazione. Detto in parole povere è il fallimento evidente di chi con dilettantismo si è messo a scrivere prima la legge e poi i decreti delegati attuativi. Per la parte relativa a reclutamento e a organici del personale. Ma non pare che le cose vadano meglio per quanto riguarda altre materie, come l’integrazione delle persone con disabilità.
Bisogna cominciare ad avere e praticare una politica del personale. Con coraggio, il Miur ma anche i rappresentanti dei lavoratori della scuola. Non lo si è fatto con la stabilizzazione di massa dei precari. Ma l’avvio del rinnovo contrattuale, dopo insopportabili anni di immobilismo, è un’occasione troppo importante per sprecarla. Pensare che siccome gli stipendi degli insegnanti sono bassi, i più bassi secondo tutti i confronti nell’Ocse e fuori dell’Ocse, bisognerà dare gli stessi aumenti a tutti è un’idea sciagurata per chi ha a cuore il destino della scuola pubblica. Lo pensavo nei giorni scorsi a proposito della tradizionale discussione prima delle ferie su scuole aperte d’estate. Tutti pensiamo che sarebbe utile per tantissimi alunni non interrompere l’attività didattica per un così lungo periodo: dai primi di giugno a metà di settembre. Immaginiamo una programmazione unitaria che unisca una didattica un po’ speciale a quella ordinaria. Non riteniamo di consegnare la scuola ad agenzie esterne o associazioni che siano: siamo i titolari della formazione dei nostri alunni. Tutto il personale Ata è al suo posto di lavoro. Tanti insegnanti sarebbero in grado di realizzare alla grande tali attività. Dovremmo renderci conto che una diversificazione delle retribuzioni insieme a una più idonea organizzazione del lavoro non è più rinviabile. Ne va del futuro della nostra scuola.