Franco Buccino
Correre all’alba per le strade della città, ammirare con l’emozione di sempre i palazzi e le chiese di via Toledo, piazza San Ferdinando, del Plebiscito, le fontane, il lungomare, il panorama più bello del mondo. E vedere la gente presente e in movimento con le prime luci del giorno, una popolazione così diversa da quella che da lì a poco affollerà quei luoghi. Un’umanità dolente, in gran parte.
A cominciare dai due che dormono rannicchiati sui gradini della chiesa di San Nicola alla Carità, e dove altrimenti, incuranti del proclama del governatore. Senza fissa dimora, senza casa, vagabondi: pare che molti scelgano loro di vivere così, ci diciamo per giustificare la nostra indifferenza. E poi puzzano e sporcano, imbrattano. Ci vuole una civica e cristiana sopportazione del diverso…
Urla agghiaccianti dalla Galleria di un ragazzone che una signora esile ben vestita, la mamma forse, cerca di governare; una donna che agita perennemente la bottiglia di plastica con i sassolini nell’inutile tentativo di coprire voci e acufeni che l’hanno fatta uscire di senno; un tizio che si abbassa il pantalone e fa i suoi bisogni per strada come se niente fosse. Il disagio psichico.
Ma quanti sono! Scelgono l’alba per stare a loro agio e sentirsi padroni della città? O, più probabilmente, si confondono, si camuffano, si controllano, nelle ore successive, tra la gente normale. Certo, all’alba stanno bene con i baristi e camerieri che servono i primi avventori mentre sistemano tavolini, sedie, ombrelloni e gazebi sul suolo pubblico; con i giornalai che allestiscono le edicole e i passanti che si fermano a leggere i titoli di cronaca nera; con i tassisti che in gruppo discutono animatamente di sport mentre anche le loro vetture accostate l’una all’altra sembrano confabulare amabilmente; e con noi che corriamo a piedi e in bicicletta.
Ma il disagio non finisce con loro. C’è un altro piccolo esercito che si infoltisce nei fine settimana. Ragazze e ragazzi ancora sotto l’effetto delle droghe ingurgitate insieme a massicce dosi di alcol. Fanno pena, ancora iperattivi o scoordinati e abbandonati su se stessi. Gli unici a volte pericolosi per noi che corriamo. Una volta colpiti da lanci di bottiglie, per fortuna di plastica.
E poi frotte di prostitute, prostituti e travestiti, ancora con trucchi e abiti vistosi e improbabili che stonano con i discorsi divenuti domestici, familiari e umani, da volgari e sguaiati che erano. Persone spesso così giovani con addosso tutti i segni della reiterata violenza subita, che invano cercano di dissimulare e rimuovere.
Sono già in azione mendicanti ed accattoni, quelli di colore, giovani, allegri e rispettosi, e quelli nostrani, anziani, petulanti e un po’ invadenti. I venditori di ombrelli, che appaiono, scompaiono per poi ricomparire al seguito della perturbazione. Ma ormai è giorno. L’alba si è dissolta come l’immagine dello schermo nel cinematografo quando all’improvviso si accendono le luci.
Ormai è giorno. E s’illuminano i problemi grandi di tutta la città. La povertà, la disoccupazione, la scarsa vivibilità, la malavita. Le funicolari, la vesuviana, i suk degli immigrati, il Loreto Mare. Ma all’alba, la mattina presto, incontri persone in carne e ossa, incontri persone che incarnano nel loro corpo i problemi. Ma anche le speranze. Come questa famiglia giovane di cingalesi, la mamma, il papà, una bambina e un bambino, che con il vestito della festa si affrettano a raggiungere la propria comunità per fare memoria dell’evento avvenuto all’alba del primo giorno dopo il sabato. La speranza per questa città di risorgere.