Franco Buccino
(Repubblica ed. Napoli, domenica 9 settembre 2018)
Sono sufficientemente anziano da correre il rischio di passare per un nostalgico, persona d’altri tempi, troppo di parte. D’altronde sono quasi cinquant’anni che milito nello stesso sindacato e nello stesso partito (nelle sue varie denominazioni ed evoluzioni). Mi ha attirato molto il dibattito sulla sinistra avviato sulle pagine napoletane di Repubblica. Che troppo presto è stato assorbito da un dibattito nazionale centrato sui nuovi governanti, fascistelli sensibili al profumo del potere o cinici comunicatori miranti al consenso e basta o preparatori del golpe, e centrato altresì sulla necessità di ricompattare la sinistra.
Cosa che funziona quando c’è la resistenza, ma poi appena si scende dalle montagne… E comunque meglio le discussioni che gli ozi consentiti dalla democrazia.
Io vorrei tornare al primo dibattito, quello locale, napoletano e campano, per sottolineare alcune cose che, magari, possono essere utili anche su un piano più generale. La prima. Non sempre si capisce bene nel dibattito se si parla di sinistra o del partito democratico. A me sembra che quando si parla di valori, prospettive, azione energica di contrapposizione, ci si riferisca alla sinistra, alle mille e passa anime che la costituiscono, e il Pd diventi una delle tante.
Per tanti, anche quando parla Veltroni, parla da sinistra, si rivolge alla sinistra, quasi come se non fosse tra i fondatori del Pd. Quando invece si parla delle deviazioni, dei tradimenti, della corruzione, degli errori della sinistra, i più intendono per sinistra esclusivamente il Pd. E si smarcano. Qualcuno addirittura cambia partito. Anche tra i fondatori! Non funziona così.
La seconda. È lecito a tutti, ovviamente, parlar male del Pd, e qualche volta parlarne bene. Sarebbe il caso di precisare se si parla dall’interno o dall’esterno. Per chi legge, non per altro. La verità è che sempre più persone, giovani intellettuali sindacalisti insegnanti, non stanno né dentro né fuori, o meglio stanno qualche volta dentro e più spesso fuori.
Certo, possono avere le loro ragioni a star dentro e le ragioni per star fuori, prendere le distanze, parlarne male. Ma è troppo facile, inutile e dannoso. Non si tiene in vita un partito in questo modo.
D’altra parte il Pd alcune di queste persone le blandisce, le corteggia.
C’è chi si trova ministro o sottosegretario prima di aderire. E chi appena dopo essersi preso la tessera con una cerimonia da matrimonio civile, aspira a fare il segretario del partito.
E fossero solo queste le contraddizioni! Il vero dramma è che l’assenza nel partito di tanti di loro, giovani intellettuali sindacalisti insegnanti, gli ha arrecato danni irreparabili, ne ha stravolto la fisionomia. L’assenza di persone disinteressate e preparate ha privato il partito di un dibattito politico e insieme culturale, di un contributo di elementi attivi nella vita politica e sociale, e ha lasciato campo libero soprattutto a politici per mestiere, a dirigenti e insieme dipendenti, ai signori delle tessere che hanno creato feudi, regni e imperi.
A persone spesso così sicure dell’impunità, che, pur responsabili di fatti gravi se non misfatti, hanno proceduto imperterrite. Alcune nel dibattito sono state nominate, come la Valente e De Luca padre e figlio, tante altre no: l’elenco sarebbe lunghissimo.
La sinistra ha bisogno di un forte partito democratico. Il partito democratico ha bisogno della generosità disinteressata di tante persone che sono state a guardare, alcune volte emotivamente e idealmente coinvolte, ma più spesso incredule dinanzi a gesti e comportamenti arroganti di persone spregiudicate e corrotte. E ne ha bisogno presto. Prima che quelli che si sono appropriati della sinistra e del partito ne rivendichino la rappresentanza con liste personali.