Franco Buccino
(Repubblica ed. Napoli, 10 ottobre 2018)
Quando nella seconda metà degli anni settanta, giovane insegnante, tornai da Varese a Napoli, fui assegnato a due scuole di Soccavo: Pirandello I e Pirandello II. Stesso edificio, stesse aule, uffici, telefono; si alternavano, una di mattino, l’altra di pomeriggio. Erano gli anni dei doppi e fantomatici tripli turni, delle rotazioni con e senza recupero, delle ore di 50 minuti. Anni nei quali si sviluppò la cultura dell’emergenza a scuola. Una cultura con qualche luce (sperimentazioni di laboratori, classi miste, conoscenza del territorio) e tante ombre, soprattutto con il peso di un diritto allo studio dimezzato e mortificato.
Tracce di quella cultura, quelle negative ahimè, sono rimaste fino ad oggi. Ci sono sempre tanti problemi nelle scuole, ma non c’è più l’emergenza di allora. O meglio ci sono emergenze spesso costruite. Come al liceo Sannazzaro. Numero di classi superiore agli spazi disponibili, rotazioni di classi con parziali recuperi e uscite “extra moenia” molto discutibili, unità orarie inferiori ai 60 minuti con recuperi parziali o impropri e il sabato libero. Condivisi o meno all’interno della scuola, recenti o annosi, sono, com’è logico, in capo alla responsabilità del dirigente scolastico. Che, essendo risultate gravi le sue responsabilità, è stata rimossa “con effetto immediato”. E presto a scuola arriverà un reggente, cioè il dirigente di un’altra scuola si farà carico di “reggere” anche il Sannazzaro.
È lecito chiedersi quante altre scuole vivono, a Napoli e in Campania, gli stessi problemi del liceo del Vomero. In quante scuole si fanno rotazioni, in quante si adottano unità orarie di 50 minuti e il sabato libero, e con quali recuperi. E soprattutto in quante scuole tali difficoltà nascono da problemi oggettivi o da scelte sbagliate del dirigente scolastico. Non ci dovrebbe essere bisogno di ingaggiare legali, di coinvolgere autorevoli esponenti del mondo politico e delle istituzioni per vedersi garantire il diritto all’istruzione. Tutte le scuole sono uguali davanti ai diritti, al di là della tipologia di scuola e del quartiere di ubicazione. E la responsabilità in capo al dirigente scolastico non assolve gli organi della scuola e soprattutto non nasconde le eventuali deficienze ed omissioni dell’amministrazione scolastica.
Trovarsi con più classi che aule non è un fatto imprevisto perché dalla serie storica delle classi di un istituto si capisce se e quando salterà l’equilibrio classi/aule. Lo sa la scuola, lo sa l’Amministrazione scolastica che autorizza il numero di classi che la scuola intende formare. Una volta lo sbilanciamento era inevitabile per garantire, come si dice, il diritto allo studio; oggi no. Allora, cosa spinge a derogare? Ci sono motivi nobili, come quello di mantenere i ragazzi nel proprio quartiere e non farli allontanare troppo da casa o perché un indirizzo di studi si trova solo in una determinata scuola. Tanti motivi sono meno nobili: consolidare l’organico del personale e non perdere cattedre e posti; accedere a più fondi; per qualche mio collega preside megalomane, perfino l’orgoglio di dirigere una scuola di grandi dimensioni.
Il dirigente del Sannazzaro oggi paga perché ha sbagliato clamorosamente, di suo; ma paga anche perché il dirigente scolastico rimane una figura ibrida e ambigua. È dirigente per modo di dire, perché la sua scuola non ha vera autonomia, didattica, organizzativa e finanziaria; la sua scuola non risponde dei risultati che raggiunge, e quindi lui è privo degli strumenti di cui dovrebbe disporre un dirigente. E a volte si accontenta di surrogati, di isterico autoritarismo, di sciocchi servilismi, e ingaggia battaglie con docenti, studenti e genitori, con l’amministrazione perfino, che il più delle volte lo vedono soccombente.