Franco Buccino
Repubblica ed. Napoli, 25 maggio 2020
Sulla scuola siamo in piena bagarre. Esami di stato: in presenza, forse. 80.000 docenti da stabilizzare: con un concorso in presenza, o forse per soli titoli. Posizioni che si ammorbidiscono o si irrigidiscono a seconda delle convenienze politiche. Si ricorre perfino all’uso strumentale del valore del merito o della fatica dei precari. Nulla di nuovo. Eppure qualcosa di nuovo c’è. L’ha detto candidamente l’ineffabile ministra Lucia Azzolina, che riesce a far entrare in crisi molti sostenitori del ricambio generazionale. Azzolina, a un certo punto, ha infatti esclamato: «Ma perché non possiamo selezionare i precari migliori per la scuola?».
Una sorta di allevamento intensivo di docenti, da cui prelevare i più solidi, i più resistenti, i più versatili. I più preparati, forse. È l’immagine più degradata del precario che mai, in tanti anni, mi è capitato di vedere.
I “votati” all’insegnamento si laureano, seguono corsi di perfezionamento e di specializzazione, conseguono seconde lauree (tutto a pagamento), e si “buttano” sul mercato. Sono molto richiesti. Non c’è bisogno di caporali. Lo Stato fa da solo. In migliaia s’imbarcano per chilometri e chilometri; e vanno a fare supplenze, temporanee o annuali, fino al 30 giugno o fino al 31 agosto. Economicamente, in genere, riescono a sopravvivere in coppia, o con l’aiuto delle famiglie di origine. Alcuni di loro riescono con i rari concorsi a passare di ruolo.
Ma la maggioranza continua e resta in questa situazione precaria per molti anni, perfino una decina, e oltre.
E molti vi resterebbero per tutta la vita, quella lavorativa intendo, se non ci fossero ciclicamente, per mera necessità, delle sanatorie, concorsi riservati, per titoli e servizi, ecc. Per sopperire agli enormi vuoti di organico per il pensionamento di docenti mediamente anziani. E infatti mentre si fanno queste operazioni, si ripresenta l’urgenza di assumere nuovi precari su cattedre nuovamente “scoperte”.
Con i precari cresce e si sviluppa un grosso “indotto”. Dagli uffici legali specializzati nei ricorsi, a costo di inventarseli, a sindacati nati con loro e, soprattutto, per loro, per le loro necessità (non a titolo gratuito), a pensioni, alberghetti, convitti, residenze, case, ecc. Se non c’erano bisognava inventarseli!
La qualità del loro insegnamento di sicuro non è inferiore a quella dei colleghi di ruolo. Né ci sono particolari differenze tra loro agli occhi dei ragazzi, delle famiglie, degli stessi colleghi e dei dirigenti scolastici. Anzi spesso c’è maggiore disponibilità, più apertura alle innovazioni. Il grosso limite è, quasi sempre, la mancata continuità. In particolare per gli insegnanti di sostegno, con e senza titolo specifico.
Se io fossi al posto della ministra, avrei più rispetto per questa numerosa categoria. E mi porrei il problema di come stabilizzare quelli che hanno tre anni o più di insegnamento. Mi preoccuperei della loro formazione in servizio, della qualità della loro vita, perfino. E mi applicherei di meno ai tre concorsi che «si possono fare in estate e all’inizio dell’autunno». A predisporre, come ha dichiarato, «il test al computer con il distanziamento necessario», a contare le migliaia di postazioni in migliaia di istituti. Pensasse piuttosto a come far partire il prossimo anno scolastico. Io non ci dormirei la notte. E con lei ci pensasse chi l’appoggia. Caro presidente Conte, sulla scuola sono caduti i migliori governi.
Non dico infine alla ministra Azzolina di chiedere scusa per la frase: «Perché non possiamo selezionare i precari migliori per la scuola?». Non lo dico perché dovrebbe chiedere scusa a troppe persone, ben oltre i precari. E come ministra non credo che abbia tanto tempo a disposizione.