Franco Buccino
(da Repubblica ed. Napoli del 27 gennaio 2013)
Gli over 65 in Italia sono il 21 per cento dell’intera popolazione, ma rappresentano una percentuale ben più ampia tra gli elettori alla Camera e al Senato. Non è che gli addetti alle macchine elettorali dei partiti non se ne siano accorti, e però l’approccio più diffuso verso gli anziani è di chi pensa ad essi come a un serbatoio di voti, da conquistare con strumenti non politici. Qualche mese fa fece scalpore la notizia di centinaia e centinaia di frequentatori dei centri anziani del Lazio che, credendo di fare una gita organizzata, si trovarono, senza saperlo, a Chianciano, alla convention di Samorì. Quel signore che campeggia in questi giorni su manifesti giganti per le strade di Napoli. E chi si rivolge anche agli anziani nei messaggi elettorali, ritiene che sia sufficiente alimentare le loro paure e diffidenze. I più sono convinti che l’orientamento per chi votare, agli anziani, lo possano dare gli altri adulti della famiglia. Infine, nella kermesse di questi giorni di candidati e aspiranti candidati, di primarie e parlamentarie, di listini e società civile, di soddisfatti e di delusi, tutti sono stati d’accordo su un’unica cosa, quella di escludere dalle liste, in nome del rinnovamento, gli anziani, over 65 o giù di lì.
Un terzo del corpo elettorale non può essere trattato così. E infatti cominciano a cogliersi in giro le reazioni e le resistenze a questo discutibile sistema. Soprattutto in nome del principio dell’invecchiamento attivo, che sempre più persone cominciano a condividere e praticare. Pensionati, istruiti, in discreta salute, con parecchi anni davanti a sé, che scelgono stili di vita sani, che coltivano interessi d’ogni genere e danno dignità a tutte le dimensioni di un’età che è come le altre. Ebbene, al fondo del principio dell’invecchiamento attivo c’è la consapevolezza che esso non riguardi solo la vita individuale, ma anche quella comunitaria, sociale, politica. L’applicazione dell’invecchiamento attivo alla politica avrà presto effetti rivoluzionari. I nuovi anziani vogliono dedicarsi in modo continuo e sistematico alla cosa pubblica, a volte nella direzione, sempre nella partecipazione. La democrazia partecipata non rimarrà un miraggio, se sarà praticata e vissuta dagli anziani.
Ma la cittadinanza attiva non è solo un contenitore, una metodologia o uno strumento, è anche e soprattutto una filosofia, una visione della vita, un’ideologia. I nuovi anziani, per una questione non solo anagrafica e affettiva, credono nei valori della Costituzione italiana, nei diritti fondamentali, che non possono essere messi in discussione neppure da chi gestisce l’agenda per salvare il paese dal baratro economico. È meglio andare sottosopra che rinunciare ai diritti fondamentali. E poi, credono che la nostra repubblica si fonda sul lavoro, essi che provengono in genere da una lunga esperienza lavorativa, che sanno del dramma della disoccupazione vissuto da loro o dai figli. E che continuano a immaginare per sé forme di attività collegabili al lavoro, soprattutto nell’ambito dei beni comuni.
Non è più procrastinabile la rappresentanza degli anziani, in politica e non solo. Gli anziani continuano a subire le discriminazioni che hanno riguardato i giovani e prima ancora le donne. Con un tragico equivoco di fondo si è coniato il seguente sillogismo. Rinnovamento significa, in un contesto, cambiare le persone che stanno lì da molti anni; le persone in questione sono, il più delle volte, anziane; rinnovare significa escludere gli anziani. Si confonde, com’è evidente, le persone con le fasce d’età. I vecchi politici sono un ostacolo al rinnovamento, e non possono nascondersi dietro l’esigenza che gli anziani siano rappresentati. Ma i nuovi anziani, con il loro bagaglio di esperienza, con le conoscenze e le competenze accumulate, con le loro idee che riguardano tutta la popolazione e il paese, quando si affacciano per la prima volta all’impegno politico a tempo pieno, aiutano il rinnovamento, sono parte del rinnovamento e del cambiamento.