FONDATA SUL LAVORO (di tutti e di tutte le età)

1 febbraio 2013

Franco Buccino

 

L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. Non solo il lavoro dei lavoratori dipendenti e autonomi, degli imprenditori e dei professionisti. Ma il lavoro di tutti e di tutte le età. Come l’educazione permanente, come lo stato giuridico dei cittadini, come i diritti fondamentali, come l’impegno civico. Il lavoro non è solo uno strumento per vivere, ma un modo di realizzarsi e un contributo importante alla produttività sociale, alla costruzione della società: un compito che riguarda tutti e tutte le età. Di questo lavoro parla la Costituzione. Su tale ampio concetto basa tutta l’impalcatura della nazione: interesse per la cosa pubblica, ruolo attivo e produttivo dei cittadini.

Può sembrare una provocazione, considerando il livello record di disoccupazione in Italia, la nuova emigrazione dei giovani, la riforma Fornero, la piaga non debellata del lavoro minorile, il lavoro nero, la condizione dei precari e di tanti immigrati. E però, da una parte c’è il dettato costituzionale che non può essere eluso senza mettere in discussione la tenuta democratica e civile del paese, e che va ben oltre la prospettiva di una crisi sia pure drammatica, dall’altra c’è l’avvio sempre più tardivo dei giovani al lavoro e l’invecchiamento galoppante della popolazione che impongono una rivisitazione del concetto stesso di lavoro e di “mondo del lavoro”. Due valide ragioni per procedere speditamente in tale direzione.

Come si sa, l’educazione al lavoro con relativa pratica dovrebbe cominciare dalla più tenera età delle persone, a partire dalla famiglia e dai tradizionali luoghi di socializzazione, anche per troncare sul nascere il radicarsi della cultura della divisione dei ruoli. Teoria e pratica del lavoro devono continuare a scuola insieme all’educazione civica e alla cooperazione didattica. Così come deve attuarsi per tutti l’alternanza scuola lavoro nella logica dell’obbligo formativo a diciott’anni, che è altro dall’obbligo scolastico e che anzi lo racchiude. E poi apprendistato, tirocinio, praticantato, che sono o dovrebbero essere preludio al lavoro. Anche durante l’iter formativo occorre consentire ai giovani lavori saltuari, stagionali e part-time.

Dopo la formazione, comincia la lunga stagione del lavoro propriamente detto, che è la più lunga e la più importante per gran parte delle persone sul piano economico e professionale e che anzi coinvolge e condiziona, oltre l’interessata, spesso anche le persone che le stanno intorno, mogli casalinghe e figli. È il lavoro produttivo per eccellenza. Se è vero che la Costituzione non pensa solo a tale lavoro, è altrettanto vero che pensa soprattutto ad esso come interprete e sostegno della democrazia e come volano dello sviluppo non solo economico, ma civile e culturale del paese. A quel lavoro ci si prepara negli anni precedenti, dei benefici derivanti da quel lavoro si vive negli anni successivi.

Il distacco dal mondo del lavoro è spesso traumatico: o perché ci sono difficoltà ad andare in pensione o perché non si vuole lasciare il lavoro. A tale appuntamento le persone si presentano oggi con una prospettiva di vita di venti venticinque anni, spesso in discreta salute, istruite e con una pensione rapportata alla precedente retribuzione da lavoro. Nella logica dell’invecchiamento attivo tali anni si vogliono vivere per sé e per gli altri. In attività culturali, del tempo libero, quelle che mirano al benessere e a stili di vita sani, ma anche in attività sociali e lavorative: nel tutoraggio di giovani lavoratori e, oggi in forma di volontariato, nella tutela dei beni comuni e nel servizio alla comunità.

L’esercizio del diritto allo studio, fino alle specializzazioni postdiploma e postlaurea, che fa entrare più tardi i giovani nel mondo del lavoro, almeno in forma stabile, e l’invecchiamento galoppante della popolazione, per cui nel giro di vent’anni una persona su tre sarà over 65, comportano che la cosiddetta popolazione attiva si ridimensiona sempre più, sia per il numero di persone coinvolte sia per la durata della loro permanenza in tale settore. È sbagliato innalzare oggi l’età pensionabile, così come sarebbe sbagliato ridurre l’obbligo scolastico domani. Perché non risolve i problemi e soprattutto mette pesantemente in discussione i diritti degli anziani oggi e dei giovani domani.

Occorre pensare a un sistema del lavoro articolato con regole diverse a seconda del segmento: il primo è quello dei giovani ancora in formazione, lavoro flessibile, stagionale, saltuario, volontario e tutelato; il secondo, lo zoccolo duro e ben regolato, è quello del mondo del lavoro propriamente detto; il terzo è quello degli anziani, anch’esso volontario, flessibile, tutelato e disciplinato, con un compenso aggiuntivo alla pensione. I tre segmenti contribuiscono alla tenuta del sistema previdenziale; i giovani ancora in formazione e gli anziani assicurano elementi di flessibilità al sistema lavoro e vedono rispettate le loro specificità; tutti insieme attuano e rendono visibile il principio che la repubblica  è fondata sul lavoro.

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