Aspettando il nuovo governo: appunti per un programma sulla scuola.

Franco Buccino

Aspettando il nuovo governo, riparliamo di scuola. Durante la campagna elettorale c’è stata da parte delle formazioni politiche una grande attenzione per la scuola, insieme al riconoscimento di come sia stata maltrattata negli ultimi anni. Si è parlato di restituzione dei miliardi sottratti con i tagli, di nuove risorse da destinare alla sicurezza degli edifici scolastici, di finanziamenti, soprattutto se non esclusivamente, alla scuola pubblica, di abolizione della cosiddetta riforma Gelmini, di più tempo scuola, di maggiore attenzione al personale della scuola, a cominciare dai precari. In attesa di conoscere il nuovo governo e il suo programma per l’istruzione, farebbe bene il mondo della scuola, in tutte le sue componenti e articolazioni, studenti compresi, a confrontarsi sulle problematiche inerenti il settore e ad elaborare proprie proposte da sottoporre all’esecutivo. Sarebbe un atto di responsabilità che lo accrediterebbe a partecipare attivamente ai processi di riforma, e non a subirli.

Io comincerei da tre punti, che riguardano, rispettivamente, gli alunni, i docenti, le scuole. Si tratta di temi molto attuali e dibattuti, che vanno sotto il nome di diploma a diciott’anni e riordino dei cicli, revisione delle classi di concorso e degli ambiti disciplinari, dimensionamento scolastico. L’ostilità verso di essi del mondo della scuola deriva soprattutto dal pregiudizio, molto fondato, nei confronti di governi che hanno trasformato tutto ciò che hanno toccato in provvedimenti punitivi, provvedimenti che hanno significato sempre e soltanto tagli, economie e peggioramento delle condizioni degli studenti e del personale. Ma in un contesto diverso le posizioni potrebbero cambiare radicalmente.

Il primo punto è il conseguimento del diploma a diciott’anni per i nostri giovani, come in altri paesi europei. È un obiettivo importante, e però da subito è stato oggetto di un’accesa discussione. Si anticipa la scuola di un anno, si riduce di un anno la scuola primaria, si trasforma la superiore in due bienni, si organizzano tutti gli ordini di scuola in quadrienni. Quanti posti si perdono, quale soprannumero si crea. Quanto si risparmia. Ancora qualche settimana fa l’infelice Profumo ha detto che il riordino dei cicli farà risparmiare 1380 milioni di euro. Io penso che sarebbe opportuno in questa fase, anziché metter mano al riordino dei cicli, facilitare, senza ipocrisia, le richieste d’anticipo a cinque anni. Già oggi la norma (vedi la circolare delle iscrizioni online) consente l’iscrizione alla prima elementare a bambini di cinque anni e quattro mesi d’età, e cioè che compiono i sei anni entro il 30 aprile dell’anno successivo all’iscrizione. Non mi risulta che qualcuno si sia stracciate le vesti. Se mai, bisogna pensare a come rendere obbligatoria la frequenza per almeno un anno della scuola dell’infanzia e come far accompagnare eventualmente nelle prime i bambini “anticipatari” da insegnanti di scuola dell’infanzia.

Il secondo punto riguarda il riordino delle classi di concorso e una definizione più puntuale degli ambiti disciplinari, a cominciare dal “sostegno” arbitrariamente e sommariamente articolato in aree. Anche questo argomento, di primo acchito interessante, è visto dai docenti come fumo negli occhi. Perché l’Amministrazione nei processi di ristrutturazione che con frequenza avvia, ha scarsa considerazione per la professionalità dei suoi docenti e quindi li ricolloca dove vuole e quando vuole, sempre e soltanto per gestire il soprannumero e per risparmiare. Invece, in realtà, la collocazione di ogni insegnamento specifico in un ambito disciplinare meglio definito, insieme al riconoscimento di altre abilitazioni ai docenti che acquisiscono nuovi titoli di studio o professionali, permette di utilizzare in modo più flessibile le competenze degli insegnanti, oltre che sulla loro materia d’insegnamento che deve rimanere la stessa, su materie dell’area disciplinare e comunque complementari, e quindi in tal modo di arricchire e variare l’offerta formativa delle scuole.

Il terzo punto riguarda la controversa questione del dimensionamento: fusioni, accorpamenti, soppressioni di scuole, che suscitano vere e proprie rivolte, con accuse di soluzioni pasticciate, incompetenza, clientelismo. Sarebbe opportuno andare oltre le singole scuole e pensare all’istituzione scolastica, un’organizzazione più complessa e su più plessi, che abbia come riferimento una comunità, sia essa un comprensorio, una cittadina, il quartiere di una città. Avere una scuola di seicento oppure milleduecento o duemila e più alunni non è indifferente rispetto all’organizzazione del lavoro. Una unità scolastica di dimensioni medio-grandi per numero di alunni dà spazio ai profili di coordinatori didattici, amministrativi e tecnici, giustifica la presenza di un ufficio tecnico, richiede le funzioni e le competenze del direttore dei servizi, enfatizza il ruolo del dirigente scolastico.

Ma, soprattutto, con più alunni, insieme con gli ambiti disciplinari meglio definiti e con docenti forniti di più abilitazioni, diventa praticabile l’organico funzionale d’istituto, la cui mancata attuazione ha fatto inceppare per tutti questi anni l’autonomia scolastica, L’organico funzionale, che è il punto centrale e qualificante di tutto il programma, garantisce le attività curricolari, quelle extracurricolari e i progetti, anche attraverso il superamento del gruppo classe; rimedia alle assenze del personale, senza necessariamente ricorrere alla tradizionale sostituzione; permette e favorisce per i docenti lo svolgimento delle attività connesse all’insegnamento. L’organico funzionale rende possibile un organico d’istituto stabilizzato per diversi anni, evitando l’annuale movimento del personale, a domanda o d’ufficio, che sovraccarica per mesi ex provveditorati e scuole e pregiudica la continuità didattica.

L’organico funzionale deve essere determinato in base al numero degli alunni e delle classi, al contesto socioeconomico in cui la scuola si colloca, e al tempo scuola che è chiamata ad offrire agli allievi. La distribuzione del tempo scuola, o meglio  la diffusione equilibrata di tempo pieno e prolungato e potenziato nelle varie regioni e nei diversi contesti, è lo strumento per ridurre le differenze territoriali e combattere la dispersione. In tale prospettiva, anche la scuola secondaria di secondo grado deve avere, in presenza di determinate condizioni, un tempo prolungato e potenziato, attraverso il quale rimediare alle storture della cosiddetta riforma Gelmini, recuperando alcuni insegnamenti, sia pure in forma opzionale, e potenziando le attività di laboratorio.

Il fatto che per uscir fuori dalla crisi un governo possa destinare risorse all’istruzione e alla ricerca, sottraendole ad altri ambiti, ma in particolare la scelta che le singole scuole possano accedere alle risorse attraverso quote differenziate di organico funzionale e tempo scuola, impone una verifica e una valutazione dell’azione della scuola, a più riprese. I risultati attesi non possono essere che la riduzione dell’abbandono e il miglioramento dei livelli di apprendimento. Anche la valutazione dei singoli non può, in prima battuta, che essere relativa al contributo che danno al raggiungimento di tali obiettivi.

Un programma sulla scuola deve essere convincente per i docenti e quanti operano nella scuola. Occorre rimotivarli e incentivarli. Ristabilire i diritti, il contratto di lavoro, la contrattazione di secondo livello, la loro rappresentanza nelle scuole, anche per un giusto equilibrio tra i poteri. Occorre offrire un’articolazione di funzioni e insieme lo sviluppo di carriere vere e proprie. A livello di singola istituzione scolastica bisogna avere uno spazio  professionale per formazione, ricerca e documentazione, nonché nuclei di valutazione. La creazione rapida del nuovo organico d’istituto deve prevedere una sostanziosa stabilizzazione di precari delle graduatorie ad esaurimento, mentre al ricambio di personale per turn over si può provvedere con il classico doppio canale , metà dalle graduatorie dei precari e metà da quelle di merito. Non più i concorsi del secolo scorso, del ’99 e addirittura del ’90, ma neppure l’ultimo. Dai  corsi di specializzazione biennali, con esami di ammissione, esami finali e tirocinio escono le vere graduatorie di merito.

Questi ed altri punti, più approfonditi e meglio articolati, possono rappresentare il programma del mondo della scuola, uno strumento per il confronto con il futuro esecutivo, una proposta responsabile che contribuisca ad orientare il governo e il parlamento ad investire nell’istruzione e nella ricerca.

Un pensiero riguardo “Aspettando il nuovo governo: appunti per un programma sulla scuola.

  1. Vorrei commentare il suo interessante articolo per capire se condividiamo i termini del problema.
    Iniziamo da una campagna elettorale. Forse ero distratto, ma mi pare che si sia parlato molto più di tasse e IMU che di scuola. Qualche accenno da sinistra, silenzio (posso dire tombale?) da destra.
    È evidente che restituire l’IMU paga di più (sul piano dei voti) che restituire dignità alla scuola.
    Devo dire che sono perplesso sui tre punti indicati come qualificanti, non perché non siano importanti, ma mi pare che i veri problemi siano altri.
    Il diploma a diciotto anni. Certo non sarebbe male, ma sarebbe forse ancora meglio se i diplomi facilitassero da una parte l’accesso al mondo del lavoro e dall’altra quello all’università. Nella scuola si parla molto di continuità curricolare. Non sarebbe l’ora di costruire una continuità tra scuola e università? Tra scuola e imprese?
    Accorpamenti. Sono troppo vecchio per le favole. Attualmente gli accorpamenti sono spesso solo un modo di risparmiare . Le scrive uno che dirige due istituti con 19 sedi scolastiche, che riceve e legge una media di 100 mail al giorno e che dovrebbe presiedere 50 consigli di classe (25 al mese). Poiché non basta, già stanno pensando come aumentarle ulteriormente le classi con la prossima razionalizzazione. Certamente gli istituti possono essere di dimensioni anche maggiori di quelli attuali, ma occorre un’organizzazione che ne consenta il governo.
    I profili di coordinatori didattici? In pratica hanno eliminato anche il distacco dei docenti vicari (che per averle occorrono un quantità industriale di classi) e le relative funzioni superiori.
    Quindi, prima parliamo di riorganizzazione della scuola, poi di accorpamenti.
    Attualmente i dirigenti scolastici hanno ogni compito (devono essere avvocati, tecnici per la sicurezza, docenti di didattica, psicologici, sociologi e altro ancora) con il rischio evidente di far male tutto.
    Siamo l’unico esercito che funziona con generali e soldati, senza nessuno in mezzo.
    I docenti stanno ancora peggio: assistenti sociali, tecnici della disciplina, psichiatri, informatici, pedagogisti. Con la direttiva sui bisogni educativi speciali (per altro sacrosanta) fanno anche le diagnosi, visto che dovranno elaborare piani didattici personalizzati per alunni che non ne hanno (e i M.I.U.R. si è già premunito di avvisarli che potrebbe esserci del contezioso, durante il quale presumibilmente verranno abbandonati a se stessi).
    Non parliamo dell’informatica, che è in ogni luogo, tranne che nei capitoli relativi ai finanziamenti. Ultimante il M.I.U.R. ha mandato dei finanziamenti alle scuole finalizzati alla dematerializzazione (registri online, ecc.). Ci possiamo chiedere come mai non sono mai starti trovati finanziamenti per l’informatizzazione degli alunni (ad esclusione delle LIM)?
    Per l’OCSE il sistema scolastico tricolore è indietro di ben 15 anni nel processo di informatizzazione delle classi. Tuttavia le pretese sono ai livelli degli altri paesi. La creatività italiana è grande. Attendo qualche funzionario che ci spieghi come si fa a fare informatica senza computer e ci indichi le nostre colpe, giacché sicuramente non siamo all’altezza dei colleghi europei (che i computer li hanno, ma è dettaglio insignificante).
    Alcuni docenti di un mio istituto, tornando da un incontro per il COMENIUS, raccontavano con sgomento che non riusciamo a star dietro neppure a Polonia e Turchia.
    L’organico funzionale? Potrebbe essere una buona soluzione. Nel frattempo, nelle riunioni regionali sulle iscrizioni, si stanno prefigurando classi con trenta alunni (solo 25 se è presente un disabile grave), famiglie che dovranno accontentarsi dei posti che trovano (non è detto che possano accedere al tempo pieno pur richiedendolo).
    In queste classi, con trenta alunni, tra cui stranieri di nuova immigrazione, dsa, alunni con bisogni educativi speciali, i docenti con calma, moderazione e profonda riflessione, potranno stendere i PDP e dare a tutti il loro piano educativo individualizzato.
    Per non parlare delle commissioni (GHLI, GLI, sicurezza, continuità, ecc.) che impegneranno sempre di più i docenti e i dirigenti.
    Per dare una concreta risposte a queste esigenze (che sono effettivamente reali e urgenti) cosa si è pensato di fare? Ridurre il fondo d’istituto (in media del 30%) con cui si finanziavano progetti e iniziative, guarda caso, proprio sul disagio, sulla dispersione scolastica, su approfondimenti disciplinari.
    Su una cosa le posso dare assolutamente ragione. Non si cambia la scuola contro i docenti. Il mio lavoro principale è coinvolgerli, motivarli, sostenerli. Il dirigente scolastico non ordina, si prende cura della scuola.
    Il famoso ordine di servizio è l’ultima spiaggia di una battaglia già quasi persa. Speriamo che lo capiscano tutti, anche il M.I.U.R., che ha la fortuna di lavorare con un personale docente che molto spesso è assai più preparato e volenteroso di quanto molti politici (che forse non hanno mai visto una scuola) vogliano far credere.
    Se posso permettermi i miei punti, che spero di condividere con Lei, sono questi:
    1. Non pretendere l’impossibile. Ogni innovazione deve comportare un relativo investimento.
    2. Avere un progetto politico nazionale coerente e duraturo. Non si può ricominciare dall’inizio ad ogni cambiamento di governo. Nella scuola primaria (ex elementare) non sappiamo neppure più come definire gli insegnanti (team, equipe pedagogica, modulo, maestro unico). I programmi, oggi detti Indicazioni, non si riescono a sperimentare che già cambiano. Troppe incertezze sono come il troppo immobilismo: distruggono il sistema.
    3. Puntare sull’aggiornamento dei docenti. È possibile che una istituzione deputata alla formazione non aggiorni se stessa? Oggi molti docenti si aggiornano, ma lo fanno contro l’amministrazione (che non li paga, cerca di non dare i giorni di permesso, che non riconosce alcun valore all’aggiornamento né economico né in termini di progressione di carriera).
    4. Incentivare la progettazione e l’innovazione, collegate alla formazione. La classi sono sempre più complesse, se vogliamo una scuola dell’inclusione (come giustamente dice il M.I.U.R.) occorre fornire ai docenti nuovi strumenti e coinvolgerli nel progettare risposte efficaci al cambiamento.
    5. Valorizzare l’autonomia delle scuole che è prima di tutto assunzione di responsabilità. In questo quadro è indispensabile l’autovalutazione e l’INVALSI può svolgere un ruolo importante, ma solo se non diventa l’unità di misura della qualità, ma uno degli strumenti con cui valutarsi meglio. Chi propone di collegare la retribuzione ai risultati, vuol far morire l’autovalutazione prima ancora che nasca. Proviamo ad immaginare lo scenario: docenti e dirigenti che sia auto-valutano, sapendo che il risultato di questa operazione è collegato all’aumento di stipendio. Quanti nuovi Mario Lodi o Bruno Ciari e addio risultati.
    6. Riorganizzare il sistema: istituti sufficientemente grandi e stabili, figure di sistema, docenti coordinatori didattici e delegati all’organizzazione. Non occorrono investimenti miracolosi, basta smetterla di tagliare ogni anno.
    7. Dare certezze ai giovani e ai precari. Tutti sappiamo che l’argomento è complesso e che essere stati tanti anni nella scuola non significa essere preparati. Tuttavia conosco personalmente scuole dove la continuità è garantita dai precari, da docenti che lavorano nella stessa aula da quasi vent’anni. Non sarebbe l’ora di sistemarli? Dopo di che, riprendiamo a fare concorsi, che non saranno strumenti prefetti, ma che in ogni caso si sono mostrati più corretti di tanti altri che, partendo da pretese pseudo-democratiche, hanno costituito vere e proprie fonti di clientela.
    Infine chiediamo alla classe politica che creda effettivamente nel valore scuola per il miglioramento del paese e che non sia più il primo argomento di cui parlare, prima di governare e il primo “taglio” da fare appena di arriva al governo.
    Cordiali saluti
    Beretta Gian Carlo
    Dirigente scolastico

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