Franco Buccino
(da Repubblica ed. Napoli del 3 maggio 2013)
L’altra mattina mi trovavo alla confluenza di piazza Mancini con piazza Garibaldi La mia attenzione fu presto attirata da un gruppo di persone che, proprio ai piedi del monumento, discuteva animatamente. Troppe facce note, mi fermo.
“Caro compagno, anche se nessuno se ne accorge, stiamo protestando. Perché a Napoli ci hanno scippato il corteo del primo maggio, quello ufficiale con il concentramento a piazza Mancini, qua, e con il comizio finale a piazza Matteotti”. Antonio, un po’ più anziano, si lascia andare ai ricordi, e si commuove. “Ci venivo con mio padre. Alla fine della manifestazione si riponevano le bandiere, si arrotolavano gli striscioni, e si andava via con qualcosa dentro, con una voglia di agire e di cambiare”. Enzo ricorda l’allegria e, insieme, le tensioni, “Arrivavamo per tempo, si faceva a gara per conquistare la testa del corteo, c’era il venditore di fischietti, la diffusione dell’Unità, la stampa comunista che nessuno leggeva, gli studenti, i metalmeccanici, gli operai dell’Italsider, gli estremisti che venivano isolati e posti in coda. E poi il servizio d’ordine, il cordone attorno ai segretari; all’altezza dell’Università gli studenti e i professori sulla scalinata; a piazza Borsa, o poco più su, autorità varie, Bassolino giovane segretario di partito, Napolitano elegante con il suo cappello. Infine il comizio finale con gli applausi e la rigorosa copertura dei fischi dei contestatori”. “Altri tempi, – dice Umberto – poi è cominciata la crisi infinita delle fabbriche, ai cortei è diventata sempre più numerosa la presenza di chi rivendicava e protestava per sé, sono comparsi i movimenti dei disoccupati”. “Chi l’avrebbe detto che a Napoli i disoccupati organizzati sarebbero diventati i padroni assoluti del tragitto, della piazza e dei cortei” conclude avvilito.
Altre persone si aggiungono all’assemblea spontanea. “Non credete che i sindacati con le loro divisioni e contrapposizioni abbiano contribuito a far saltare il primo maggio, e quello che significa?”, dice un signore distinto e istruito. “Sì, è vero”, ripete più d’uno, “però senza sindacati, i lavoratori non sono organizzati, diventano estremamente vulnerabili. E succede, come a Napoli, che sbucano i capipopolo”. “I sindacati sono indispensabili ma devono essere riformati, come la politica. Accanto alla riforma elettorale ci vuole una riforma della rappresentanza dei lavoratori”. “Allora sì che ha senso il primo maggio dei lavoratori, – conclude Amedeo, mettendo tutti d’accordo – i protagonisti diventiamo noi, e i sindacati sono i custodi della festa, non i padroni. Facciamo presto, e riprendiamo dal primo maggio del 2014 a Napoli il corteo unitario dei lavoratori con il comizio finale. Da piazza Mancini a piazza Matteotti”. Si scioglie così questa strana assemblea, ricca e potente, di cui non si accorgono neppure i passanti per la piazza. In una giornata che è diventata troppo simile alle altre.