Il popolo dei corridori e le patate

Franco Buccino

(Repubblica ed. Napoli 12 novembre 2014)

A prima mattina il popolo dei corridori si dirige verso il mare come tartarughine appena nate. Scendono da soli, in coppia, a volte in gruppi più numerosi. Come questo gruppo un pò rumoroso che ho davanti: parlano, ridono, imprecano, cantano. A tenere assieme le cose che dicono, sembra di sfogliare un gazzettino locale o meglio di costruire un giornale in movimento. “Comm’è bella, comm’è bella ‘a città ‘e… De Magistris” canticchia uno bassino. Gli altri litigano sull’elenco delle contraddizioni della città, su indagati, malgoverno, corruzione, ma soprattutto sui debiti del Comune e sui limiti della classe politica locale. Cambia argomento uno più pacifico. Da piazza Dante a piazza Carità, trecento metri, abbiamo incontrato cinque negozi di patate. Chips parte fissa con prefissi e suffissi vari: street, store, world; a un’insegna in dialetto napoletano hanno aggiunto la scritta “Patate fresche. Elettroforno”. Insomma, un papocchio, anzi un “patatocchio” per parafrasare un’altra catena del genere. Si apre una discussione ancora più accesa sulle patate olandesi, sull’olio usato per friggere, sulla puzza e i resti di salse e patate. Un anziano, ottimista e un po’ patetico, ricorda le patate americane dei primi anni cinquanta, dolci e lunghe, che poi sono scomparse dalle nostre tavole. Ma i tempi sono cambiati, sostiene un cupo pessimista, a breve in città avremo più negozi di chips che pizzerie. Anzi, conclude un fatalista, negli stessi negozi ci cuoceranno nell’elettroforno, patatine, hamburger e pizze congelate. Chi ci può salvare dalla globalizzazione.

Un tratto di marciapiede transennato costringe il gruppo a deviare, e intanto comincia la serie quasi ininterrotta di facciate di palazzi ricoperte da impalcature. L’ingresso della Galleria con la foto di Salvatore e il mazzo di fiori artificiali, appesi ai tubi Innocenti, e poi la Prefettura, il San Carlo, Palazzo Reale, perfino la fontana di piazza San Ferdinando. “L’imbracatura dell’arte”, sentenzia l’intellettuale del gruppo. “O l’arte dell’imbracatura?” gli risponde per le rime il creativo del gruppo, facendo notare che la superba bellezza della facciata di Palazzo Reale si coglie anche nel particolare ponteggio che la ricopre. Il gruppo, carburato, procede in modo più spedito, ma faccio in tempo a cogliere i commenti alla vicenda dei ristoranti del lungomare multati per essersi allargati ben oltre gli spazi assegnati. È un argomento che sta molto a cuore a chi corre e cammina per la città. Sì, sono al momento un po’ rientrati i ristoratori, forse perché ormai la “stagione” è finita; e comunque hanno lasciato fioriere e contenitori dei rifiuti, termini inviolabili, a segnare i confini del “loro” spazio, pronti a rioccuparlo alla prima occasione, se il capitano Frattini con i suoi vigili si dovesse distrarre. Poi il gruppo, compatto, pensa solo a correre. Ma già so il loro prossimo rallentamento e, giocando d’anticipo, li aspetto al ritorno nella zona dei grandi alberghi dove stazionano i taxi.

Di fatti arrivano sul lato interno, e comincia un rapido dialogo con i tassisti. L’argomento è sempre lo stesso: il Napoli. Il linguaggio che usano è il termometro che fa capire lo stato di salute della squadra: quando più le cose vanno male, tanto più il loro linguaggio è colorito, arrivano ad usare termini ed espressioni irripetibili. Oggi li sento tranquilli, le cose vanno bene, anche se mettono le mani avanti. Dopo piazza Plebiscito, il gruppo comincia a sfaldarsi, chi s’infila in un vicolo, chi in un portone, chi prosegue per altre strade a velocità diverse. Rimango da solo a pensare e a osservare. Queste persone così ricche di senso critico e buona volontà sono una garanzia per la città e perfino per la democrazia, anche quando vogliono sembrare superficiali e distruttive. Mi sostengono in questi pensieri positivi due scene alle quali assisto: il gestore di un bar, prima della chiesa di san Nicola, sta pulendo la piccola aiuola sopraelevata che il Comune gli ha affidato: pulita, con l’erba verde, più alta e scintillante, com’è diversa dalle altre, che sembrano discariche piene di carte, lattine, bottiglie di birra, con l’erba sparita e la terra indurita. Poco più avanti, davanti alle tre campane per la raccolta differenziata, una vecchina tira fuori dalla stessa busta, sembra la borsa di Mary Poppins, carte, bottiglie, oggetti di plastica, e mette ogni cosa al posto giusto. Mi sento risollevato mentre, prima di entrare nel mio portone, passo davanti a una pizzeria rinomata per la pizza Obama, al nero di seppia. “Comm’è bella, comm’è bella ‘a città ‘e Pulecenella”.

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