Scuola: nuovi organici, nuovi equivoci

Franco Buccino

Recentemente l’onorevole Faraone ha fatto capire che l’organico funzionale non sarà formato da insegnanti di serie B, senza cattedra e a disposizione sul territorio, ma da insegnanti in carriera, quelli con gli incarichi, e magari “esonerati” dall’insegnamento. E cioè che l’organico funzionale, almeno nella visione del sottosegretario, diventa d’istituto e non territoriale. Il che sarebbe una bella cosa se ci fossero le condizioni. Intanto non giova questa incertezza alla vigilia dei provvedimenti. Non si sa quanti precari passeranno di ruolo dalle graduatorie ad esaurimento, quanti da quelle d’istituto; come avverranno le operazioni di nomina nelle varie province e regioni; a che flusso di mobilità assisteremo. E ora non si sa che tipo di organico funzionale avremo. L’unica certezza è che aumenterà il contenzioso.

Il fatto è che neppure la “buona scuola” affronta e tantomeno individua soluzioni per gli annosi problemi della scuola. In particolare per due di essi che interessano anche l’organico: le dimensioni dell’unità scolastica e l’organizzazione dell’attività didattica. Insieme a quello specifico e di fondo per il personale e la sua gestione, e cioè la distinzione tra organico di diritto e organico di fatto.

L’autonomia delle singole scuole non è decollata per tanti motivi; uno è sicuramente il fatto che per come sono dimensionate non hanno personale adeguato a svolgere le attività proprie di un organismo autonomo, da qualsivoglia punto di vista. La dirigenza nella scuola non decolla; il termine “scolastica” che doveva indicarne la specificità, è diventato il limite, la prigione nella quale si perdono tutti i suoi elementi costitutivi. Tra il dirigente, che non è altro che il vecchio preside, e i docenti, e tra il direttore dei servizi generali e amministrativi, che non è altro che il vecchio segretario, e il restante personale, assistenti e collaboratori, non c’è alcuno spazio per figure intermedie e possibili carriere; senza organico aggiuntivo e con un’organizzazione del lavoro estremamente rigida, le scuole si dibattono tra sostituzioni del personale, classi scoperte, carenza di locali, dispersione scolastica; non c’è modo per loro di garantire un orario di lezioni flessibile agli studenti, moduli alternativi alle classi in alcune fasi dell’anno, laboratori e quant’altro. L’unità scolastica deve essere ben più grande di una singola scuola di medie dimensioni. Solo in essa acquistano un significato la dirigenza scolastica, le figure intermedie, l’organico funzionale d’istituto, l’autonomia amministrativa, finanziaria. In essa si può concretizzare e praticare perfino l’autonomia didattica, così come la valutazione del personale, la verifica dei risultati, la capacità politica di interloquire con le varie istituzioni presenti sul territorio. Per realizzare le stesse attività una scuola con le dimensioni attuali avrebbe bisogno di un numero troppo elevato di personale di supporto.

Insomma, con un organico funzionale d’istituto la grande unità scolastica non sostituirà soltanto il personale assente, ma si farà carico di tutti gli impegni ai quali la scuola è chiamata. L’alternativa all’unità scolastica di grandi dimensioni è la rete di scuole. Un’alternativa affascinante, come la collegialità dei docenti, che fa pensare alla democrazia, alla partecipazione. Ma, anche se la sinergia è sempre auspicabile, rimarrebbero in piedi troppi problemi che sono in capo alle singole scuole. E però, in prima battuta, in attesa della creazione delle nuove unità scolastiche, la soluzione provvisoria non potrà essere che proprio una sorta di organico funzionale di più istituti. Una quota importante dei 150.000 precari da stabilizzare deve andare a rimpolpare tale organico di scuola in modo definitivo.

Ma, legato all’organico del personale, c’è un altro grosso problema: la distinzione tra organico di diritto e quello di fatto. L’organico delle scuole varia di anno in anno perché cambia il numero delle classi e perché, puntualmente, ogni anno si attua la mobilità del personale. Finora l’amministrazione ha tamponato le complicanze derivanti da tali operazioni, utilizzando incaricati annuali, precari, per posti che complessivamente ci sono sempre, anche se diversamente collocati, e che costituiscono questo marchingegno machiavellico dell’organico di fatto. I precari, bisognerebbe spiegare al professor Ichino, almeno nella scuola, non sono l’altra faccia dell’inamovibilità degli stabilizzati, ma i figli di questa astuzia un po’ perfida, che fa gli interessi solo dell’amministrazione. Senza farle risparmiare un euro, tra l’altro. I precari, in genere, solo all’inizio della loro attività lavorativa sostituiscono i docenti di ruolo: supplenze di quindici giorni, un mese, o poco più. In tale situazione sono a loro complementari e in qualche misura subordinati. Ma poi, con gli incarichi annuali, diventano loro colleghi a tutti gli effetti, anche nella considerazione degli studenti. Anche loro devono essere stabilizzati, devono essere immessi nei ruoli, come si diceva una volta, e, in attesa del superamento dell’organico di fatto e del varo dell’organico d’istituto almeno triennale, devono essere utilizzati in una sorta di dotazione organica territoriale o aggiuntiva.

Con la stabilizzazione dei 150 mila, e cioè, come annunciato, dal 1 settembre prossimo, in ogni scuola pubblica ci saranno docenti di ruolo appartenenti o all’organico funzionale d’istituto o all’organico funzionale territoriale; docenti non di ruolo saranno delle eccezioni. E quindi, a breve, scomparirà il supplente temporaneo, perché le scuole si organizzeranno in modo da rimediare diversamente alle assenze del personale, così come anche il supplente o incaricato annuale sarà rarissimo. E il servizio non di ruolo svolto servirà esclusivamente per qualche punto in più nei concorsi a cattedra. E’ una scelta coraggiosa e onerosa quella di stabilizzare il personale, che deve portare con l’organico stabile e funzionale tanti vantaggi alla scuola e alla sua autonomia, ma che deve anche garantire che non si riformi il precariato.

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