DOPO LA SCUOLA, ANGELI DISABILI SENZA ALI

Franco Buccino

(Repubblica ed. Napoli 19 febbraio 2015)

La nonna di Luca, la signora battagliera che si spende per l’integrazione scolastica del nipote e di tutti i ragazzi disabili, da qualche tempo è in crisi. Ha incontrato un vecchio amico che non vedeva da una vita. Egli ha un figlio, Giovanni, disabile grave come suo nipote, ma di quarantacinque anni. L’amico l’ha introdotta alle problematiche dei disabili gravi adulti, e lei si è spaventata. La scuola all’improvviso le è sembrata un paradiso terrestre: vede i compagni che sorridono a Luca, la festa di Carnevale per lui, anche nell’atteggiamento rigido della vicaria riesce a cogliere un sentimento d’affetto, e ricorda che l’assistente materiale non la chiama più le rare volte che Luca se la fa addosso. Neppure il nuovo tentativo del governo di preparare tutti i docenti alla relazione con i disabili, che per lei è l’anticamera all’eliminazione degli insegnanti di sostegno e alla messa in discussione di un’inclusione scolastica effettiva, perché verranno meno tempi e spazi dedicati ai disabili, le fa cambiare idea sulla scuola come luogo nel quale ci sono tutti, e tutti con il diritto di starci, anche maltrattati; trascurati, ma presenti.

E invece poi, una volta finita la scuola… Una volta finita la scuola i disabili gravi scompaiono, diventano invisibili. La maggioranza di loro li vedremo in rare occasioni. Una parte per un po’ di anni nei minibus che li accompagnano ai centri diurni, semiresidenziali come si dice. Dove non sempre ci sono per loro attività e supporti adeguati. Il papà di Giovanni, esperto in materia, è molto critico: ci sono grandi sprechi; spesso nei centri i disabili gravi sono tenuti a vegetare né più e né meno che a casa loro; si potrebbe, spendendo gli stessi soldi, far fare loro attività utili come l’ippoterapia, ma anche una seria attività fisica, esercizi di abilità cognitive. E non stare lì ad aspettare il pranzo e poi il furgone che li riporta a casa. Nel mondo del lavoro trovare un disabile grave è rarissimo. Hanno un lavoro in pochi, e quelli che lavorano, in genere, non sono comunque inquadrati con contratti regolari. Nella maggior parte dei casi sono impiegati in cooperative sociali, quelle di tipo B, spesso senza un vero e proprio contratto. Non ricevono nessun compenso o ne percepiscono uno minimo, comunque inferiore alla normale retribuzione per il lavoro che svolgono.

Più spesso ci capita di incontrare un disabile grave al seguito del papà o della mamma. Piccole apparizioni, per strada, nel tram. Si comprende subito come genitori e figli si capiscano bene tra loro: un’intesa che nasce da una vita trascorsa insieme ventiquattr’ore su ventiquattro. Senza i genitori i disabili gravi si sentirebbero persi. E viceversa. E però è chiaro che i genitori non possono dare ai disabili, oltre l’amore e la disponibilità, quello che non hanno. Intuiscono quello che serve a loro, per il loro benessere, e però non c’è chi si fa carico di loro: né pubblico né privato, né chi rende esigibili i diritti del cittadino né chi per carità soddisfa i bisogni della persona. E così i genitori dei disabili gravi passano dalle continue e pressanti richieste di aiuto al mondo intero al rinchiudersi a riccio, dai sorrisi speranzosi ai volti perennemente tristi. Nel chiuso di una casa, in una comunità troppo artificiale per essere vera, si creano medicina, educazione, morale, economia, religione, tutte nuove. Una sola cosa li spinge a non perdere i contatti con il mondo esterno, quella che con precisione agghiacciante chiamano il “dopo di noi”, cosa sarà di un disabile grave alla morte della mamma e del papà.

La nonna di Luca è sconvolta, si rende conto all’improvviso che sta perdendo tempo nelle sue battaglie per la piena inclusione scolastica dei disabili gravi, si scaglia con rabbia contro la società, come il poeta contro la Natura: “Perché prima ci illudono con l’inserimento dei nostri figli e nipoti nella scuola e poi ci abbandonano, li lasciano soli, li escludono definitivamente, rinnegano tutto quello che fino a un attimo prima hanno sostenuto”. Il papà di Giovanni scuote la testa, ne ha viste troppe negli ultimi quarantacinque anni, pensa con insistenza al “dopo di noi” e sogna con frequenza angeli disabili senza le ali.

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