IL TRANELLO AI PRESIDI DALLA RIFORMA

Franco Buccino
Repubblica ed. Napoli 25 giugno 2015 pagg. I e X
(forma breve del precedente articolo “La buona scuola e il preside confederale”)

Gli si apriva il cuore alla speranza al (vecchio) preside confederale lo scorso anno a sentir parlare di buona scuola; a sentir mettere assieme stabilizzazione dei precari, autonomia e organico dell’autonomia; staff, merito e valutazione; incarichi a tempo per tutti, senza il carosello annuale di spostamenti di ogni tipo. Era ormai rassegnato a lasciare, per limiti d’età, la scuola così come l’aveva trovata tanti anni fa, quando aveva cominciato a fare l’insegnante. E invece ecco irrompere la notizia della buona scuola. Era contento innanzitutto per gli alunni e le loro famiglie: finiva l’epoca della rigidità delle materie, degli orari, delle lezioni frontali, dei promossi o bocciati, della dispersione di cui la scuola ė tante volte la prima causa. E poi era contento per la stabilizzazione dei precari.
Ma soprattutto gioiva all’idea di ritrovare il senso e il significato del suo ruolo di dirigente scolastico. Anche se lui ha sempre preferito “preside confederale”, per motivi non certo romantici e ideologici. Il preside dirige una istituzione in cui si attuano due diritti garantiti dalla costituzione: la libertà d’insegnamento e il diritto all’istruzione. Il suo impegno è di far esercitare sia ai docenti che agli alunni e famiglie il loro diritto. L’istituzione che dirige non è un’articolazione del Ministero, è una realtà autonoma che si interfaccia con Amministrazione scolastica, governi territoriali, ente locale, comunità locale.
Bisogna anche dire che le cose hanno preso negli ultimi dieci, quindici anni una piega molto diversa rispetto alle attese. L’autonomia non è decollata, la valutazione (di sistema, di scuola, di figure) è rimasta al palo, tagli di posti e di risorse hanno fatto il resto. Il dirigente scolastico è diventato una figura ibrida e ambigua.
Bersaglio e parafulmini di molti guai. In nome dell’autonomia della singola istituzione scolastica, l’Amministrazione scarica su di lui tutti i problemi che non sa o non vuole affrontare
All’annuncio della buona scuola di Renzi, gli era sembrato davvero la volta buona e, con incoscienza e generosità, si era lanciato nel discorso riformatore. Era ed è convinto che autonomia significa dar conto del proprio operato, dei risultati ottenuti, la scuola e il suo dirigente.
Invece è caduto nel tranello che l’Amministrazione, anzi il governo, scientemente, gli ha teso. È diventato in breve tempo una sorta di custode, sceriffo, interprete del pensiero e del decisionismo renziano: lui da solo chiama direttamente i docenti, li valuta e da soldi ai meritevoli. Non se l’è mai sognato e mai accetterebbe di farlo. Eppure subito i sindacati hanno parlato, senza neppure interpellarlo, di deriva autoritaria. Per una cinica scelta del governo è stato criminalizzato, è diventato la vittima sacrificale delle relazioni sindacali.

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