IL PRIMO ANNO DELLA BUONA SCUOLA

Protagonisti i neoimmessi in ruolo e i precari

Franco Buccino

In questo primo anno di buona scuola si parla solo dei docenti e, di riflesso, del dirigente scolastico. Rare volte si parla del personale Ata, il cui numero cala sempre di più, di organi collegiali, famiglie, e, quel che è peggio, quasi mai di studenti. A parte prove Invalsi ed esami, non ci sono altri argomenti; neanche le occupazioni hanno fatto notizia in questo anno scolastico che sembra scivolare addosso agli alunni senza lasciar traccia.
Certo, si è voluto affrontare il problema del precariato. Prima stabilizzando una notevole quantità di docenti, e ora preparandosi a selezionarne con il prossimo concorso un altro consistente numero. Bisogna dire che le cose, finora, sono state pensate e gestite in modo pessimo. Con molta superficialità si è proceduto in operazioni delicatissime, perdendo un’occasione storica, quella di sistemare i precari dando, contemporaneamente, maggiori chances alle scuole di migliorare e diversificare l’offerta formativa. Non si è provveduto a fare l’anagrafe dei precari, censendo altri titoli di studio, competenze, esperienze: un incredibile serbatoio di risorse a disposizione delle scuole; non si sono rivisitate preliminarmente e accuratamente le classi di concorso e non si è pensato a coraggiosi ambiti disciplinari, presupposto di ogni organico funzionale o, come si dice adesso, potenziato; non si è voluto metter mano all’orario e all’organizzazione del lavoro dei docenti, piena di contraddittorie rigidità anacronistiche e burocratiche; non si è voluto fare un reclutamento a livello territoriale, come pure sembrava scontato, dopo precedenti concorsi regionali e ruoli provinciali. Soprattutto, cocciutamente, non si sono voluti stabilizzare i precari con trentasei mesi di servizio, in applicazione della sentenza della corte di Strasburgo.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti: alcune migliaia di persone sono passate di ruolo senza aver mai messo piede in un’aula. Ma anche per tutti gli altri, precari con anni di servizio, e sul loro utilizzo ci sono molti dubbi: i più sono destinati al potenziamento, oggetto misterioso che suscita timore ed evoca pomeriggi a scuola e che a tutto fa pensare fuor che all’insegnamento della propria disciplina. Dal punto di vista della distribuzione geografica delle immissioni in ruolo, al centro-sud si sono coperte quasi tutte le cattedre e i posti di potenziamento, al nord ci sono vistosi vuoti sia nelle une che negli altri. Mentre tanti precari sono rimasti fuori perché non stanno nelle graduatorie ad esaurimento o perché non sono abilitati. Fuori dai ruoli, ma l’amministrazione continua, imperterrita, ad utilizzarli a suo piacimento, in dispregio di norme universalmente valide nelle legislazioni lavoristiche. E a breve le cose si complicheranno ancora di più con le prossime due operazioni: la mobilità nazionale del personale docente di ruolo e il concorso regionale riservato ai docenti non di ruolo e forniti di abilitazione. Le due azioni libereranno cattedre e posti al nord e creeranno un ingolfamento al centrosud. Al nord continueranno a insegnare docenti senza la fatidica abilitazione perché l’Amministrazione non gliela fa conseguire, mentre al centro e al sud i precari si sfideranno a suon di lauree, master e abilitazioni per le residue supplenze.
Due anelli legano la mobilità al concorso, i docenti stabilizzati a quelli precari. Il primo è il ricorso. Ricorrono in massa i precari esclusi dal concorso, quelli senza abilitazione, quelli di ruolo, quelli che ancora non hanno conseguito il titolo di sostegno, e tante altre sottocategorie. E il tar Lazio comincia ad ammetterli con riserva, per la gioia degli studi legali. Si preparano a ricorrere i docenti di ruolo interessati alla mobilità. Già normalmente, in materia di trasferimenti, è un succedersi di ricorsi, controricorsi, decreti di rettifica. Quest’anno gli interessati al trasferimento saranno in numero dieci volte maggiore rispetto al solito e forse paralizzeranno l’Amministrazione. Inutile dire che i più esposti a trasferimenti in sedi o ambiti meno graditi sono i neoimmessi in ruoli. L’altro anello di congiunzione sono i titoli. Come aggiungere fino a sei punti alla domanda di trasferimento o come potersi far valutare un master didattico o un perfezionamento nel concorso? Come conseguire in tempo utile un’altra laurea o l’agognato titolo di sostegno? Basta rivolgersi ai noti istituti e università telematiche che vedono ormai nel personale della scuola il loro miglior cliente.
I neoimmessi in ruolo hanno in comune con i precari non solo lo strumento del ricorso e la fame di titoli, ma anche un gramo destino di marginalità e subalternità all’interno della scuola. Questo è il loro anno di prova. Subiscono tutto: riunioni durante le vacanze, ore aggiuntive, supplenze d’ogni genere, sostituzione di colleghi che a volte semplicemente bivaccano nelle stanze della vicepresidenza, le bizze e gli umori di qualche capo d’istituto che rimedia con l’autorità alle sue ormai troppo datate competenze didattiche. Ma, nonostante tutto, le cose più rilevanti nelle scuole, sia di attività che di programmazione, li vede, in gran parte, protagonisti, insieme a un nucleo sempre significativo di colleghi, a cominciare proprio dai precari, e, perfino, di dirigenti scolastici. Sono preoccupati del loro futuro e, tutti insieme, del futuro della scuola. Mobilità incerta: ambito, provincia, regione, fuori regione; destino professionale ancora più incerto: potenziamento o tappabuchi, mattina o pomeriggio, docenti o “educatori”. Ma niente e nessuno li può distogliere dal loro impegno prioritario che è quello di rispondere alle esigenze formative dei loro alunni, che ogni mattina li interpellano con uno sguardo carico di speranza.

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