Alla ricerca della felicità

Franco Buccino

«È il momento di tradurre in pratica l’idea che il PIL (Prodotto Interno Lordo) non basta più, il Bes (Benessere Equo Sostenibile) ha la stessa dignità del Pil», lo ha detto Padoan, il ministro dell’Economia. Nientemeno. E così l’Italia si appresta a diventare il primo Paese dell’Unione Europea e del G7 a inserire obiettivi di benessere nella programmazione economica.

Il PIL è certamente una misura importante dei risultati economici di una collettività, e però, se vogliamo valutare lo stato e il progresso di una società, è indispensabile integrare tale misura con indicatori di carattere insieme economico, ambientale e sociale.

Col tono profetico che lo contraddistingueva, Robert Kennedy diceva già nel ’68, in un celebre discorso agli studenti del Kansas, che “il PIL comprende tutto, anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine settimana; misura tutto eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta, come la salute delle famiglie, la qualità dell’educazione, la bellezza della poesia, l’intelligenza del dibattere, la giustizia dei tribunali, l’equità nei rapporti fra le persone”.

Negli ultimi tempi il dibattito sulla misurazione del benessere degli individui e delle società è emerso prepotentemente all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale; e la crisi, o meglio, le crisi degli ultimi decenni (alimentare, energetica e ambientale, finanziaria, economica, sociale) hanno reso urgente lo sviluppo di nuovi parametri di carattere statistico in grado di guidare sia i decisori politici nel disegno delle politiche, sia i comportamenti individuali delle imprese e delle persone. Deve essere chiaro, comunque, che la descrizione del benessere attraverso degli indicatori non è per niente un’operazione accademica. Definire correttamente il benessere significa interpretare le istanze più profonde e sentite dei cittadini e le loro aspirazioni: tenerne conto è un dovere per chi decide lo sviluppo economico, sociale e culturale da sostenere.

Come dei “visionari” in passato hanno osato mettere in discussione il valore assoluto del PIL, così oggi, mentre il governo si pone l’obiettivo di migliorare la definizione del benessere e dei suoi indicatori, “nuovi visionari” pensano a come dare un protagonismo alle persone, a come far indicare dai cittadini il progresso che vogliono. Una partecipazione diretta e massiccia delle persone in un incredibile esercizio di democrazia: che farà dire ai cittadini con sincerità quello che vogliamo e a quanti ci amministrano con altrettanta sincerità quello che è possibile realizzare. In questo esercizio di cittadinanza attiva si distinguono, e non è un caso, particolari categorie di cittadini, come le persone anziane e le persone con disabilità.

Persone che, secondo i più vieti pregiudizi, sono ancora considerate dai più una palla al piede per la ripresa economica, destinatarie di risorse ingenti per una spesa insostenibile e improduttiva. Eppure queste stesse persone da sempre hanno una loro graduatoria di bisogni e interessi, in cui risorse economiche, sussidi e pensioni vengono dopo compagnia, socializzazione, tempo libero, hobby, apprendimento, turismo sociale; persone attente alla qualità della vita, alla vivibilità delle città, all’ambiente, alla prevenzione, alla sana alimentazione, al movimento. E oggi sono in prima fila per rivendicare un benessere equo e sostenibile. Per tutti. Anche con le loro rivendicazioni più settoriali in realtà si spendono per la causa “comune”. Dal gran numero di anziani che pretende non solo salute e previdenza, ma relazioni sociali e attività per l’apprendimento permanente, a una ragazza con disabilità fisica che chiede non solo l’agibilità, ma la fruibilità della stazione Toledo. La più bella del mondo, le dicono, ma a lei è riservato solo l’angusto spazio di un ascensore. E chissà a quanti altri, in quanti altri luoghi.

Si allunga, insomma, sempre di più la schiera di quanti reclamano il benessere anche per loro, ma in realtà per tutta la comunità. Anzi il termine benessere è un po’ fuorviante, è inflazionato dalla pubblicità, è pieno di comodità, di ultimi ritrovati della tecnologia. Fa pensare più a un pratico sollevatore per persone con problemi di autosufficienza, che all’esercizio fisico per tutte le età. Non sarà un caso che gli studiosi più attenti al nostro tema parlino da tempo non più di benessere ma di felicità.

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