Franco Buccino
(Repubblica ed. Napoli 13 febbraio 2018 pag. 1 e 12)
Il trasloco della Cgil da via Torino a via Toledo, che si sta completando in questi giorni, continua a far notizia. Segno della visibilità e del radicamento nella nostra città del più grande sindacato di lavoratori e pensionati. E continua a suscitare reazioni e commenti d’ogni tipo, ispirati quasi tutti a nostalgia e rimpianto, molti a critiche, alcune decisamente malevoli. Fino al commento di chi con destrezza nasconde le sue personali responsabilità nella crisi del sindacato napoletano e campano.
Frequento il palazzo da quarant’anni, e da oltre venti lo abito quotidianamente con diversi ruoli e incarichi. Tornando da Milano, ho fatto in tempo a vivere a via Torino gli ultimi anni eroici del sindacato, quelli del sogno (che svaniva) dell’unità sindacale, dell’incremento delle 150 ore, di alcune stragi e attentati, le giornate tragiche del terremoto con il salone trasformato in un enorme magazzino. A vivere gli scioperi e il primo maggio.
Con i rimpianti le critiche. Non che sia mancata una sfilza di errori da parte del sindacato campano, però le condizioni nelle quali ha operato, e opera, sono complicate. Sono continuate a succedersi, in questi anni, a Napoli e in Campania crisi su crisi, con percentuali di disoccupati stratosferiche, servizi ridotti e scadenti, primati negativi e maglie nere. La crisi ha investito, è vero, tutto il sindacato a livello nazionale, con la riduzione vistosa della materia prima su cui opera: lavoratori, contratti, accordi, pensioni; e poi gli interventi degli ultimi governi hanno tentato di metterlo nell’angolo, di ridurne i proventi, di ridimensionarlo. Ma, certo, a Napoli e in Campania gli effetti sono stati ancora più tragici. Anche perché, prevedendo un’espansione di servizi “individuali”, patronato, caaf e ufficio legale, qualche anno fa è sembrato opportuno prepararsi a queste novità anche con nuovi assunti, che sono andati ad ingrossare la già nutrita schiera di dipendenti e collaboratori. Poi i patronati sono spuntati come funghi, e per il sindacato quella dei servizi è diventata un’attività in perdita.
Mancanza di entrate e investimenti sbagliati, l’utilizzo in ruoli politici o tecnici di personale non sempre in possesso delle necessarie competenze per organizzare e gestire delle strutture, l’incapacità di fare scelte coraggiose per uscir fuori da tali difficoltà Queste sono le principali responsabilità del vecchio gruppo dirigente rispetto alla crisi economica del sindacato. Ma, quel che è peggio, quest’insieme di cause, ed altre ancora, hanno determinato una debolezza dei gruppi dirigenti e un’incertezza, che hanno contribuito all’accendersi o meglio al moltiplicarsi di contrasti interni e di qualche regolamento di conti, mettendo in evidenza una vera e propria questione morale che ha riguardato un po’ tutti i sindacati napoletani. Con conseguenti, contestati, commissariamenti. I congressi straordinari hanno segnato una tappa importante per l’emergere di un nuovo gruppo dirigente, che però dovrà “stabilizzarsi” con il prossimo congresso della Cgil.
La vendita del palazzo di via Torino, ormai prossima, è una scelta necessaria. Certo, può servire a ripianare i debiti, ma non garantisce che il debito non si riformi. Non si possono conservare tutti i posti di lavoro, tenendo in piedi servizi, eventualmente, ancora improduttivi o utilizzando ancora persone che non hanno titoli e requisiti. Non con i soldi dei lavoratori e dei pensionati. [È uno dei primi problemi, tra i tanti, che dovranno affrontare i nuovi dirigenti. Ben sapendo che se la Cgil riprende a fare bene ciò per cui è nata, i napoletani si affezioneranno, come hanno fatto per la sede di via Torino, e prima ancora per quella di via Fusco, anche alla “camera del lavoro” di via Toledo.]