Franco Buccino
Repubblica ed. Napoli, 5 marzo 2020
Sbagliamo ogni volta i tempi! Quando è il tempo di piangere la morte violenta di un ragazzo, facciamo le analisi e i commenti. I funerali si fanno sempre dopo diversi giorni: allora piangono familiari e amici; applausi e palloncini. E noi osserviamo, ma in realtà non abbiamo più niente da dire.
Ugo è morto in un tentativo di rapina a mano armata con un complice; il minacciato era un carabiniere, che ha estratto la pistola e gli ha sparato. Portato ai Pellegrini, Ugo è morto: in tasca gli hanno trovato oggetti, probabilmente frutto di un’altra rapina. Diverse persone hanno sfasciato il Pronto Soccorso.
Mi ha colpito non tanto il carabiniere in Mercedes e Rolex al polso, neppure l’omicidio volontario di cui al momento deve rispondere, e nemmeno lo sfascio del Pronto Soccorso, dei Pellegrini poi… (in passato gente inferocita ha sottratto dagli ospedali morti ammazzati). Mi ha colpito, invece, il padre di Ugo quando ha raccontato di aver visto, poche ore prima, il figlio dal barbiere e di avergli detto che la madre gli aveva preparato da mangiare. Rapine a mano armata: una bravata tra cena e discoteca?!
Non è così, perché Ugo aveva quindici anni. Ancora in una fascia di età di ragazzi a cui si deve rispetto: la “maxima reverentia” di cui parla Quintiliano. Gli doveva rispetto la famiglia: preoccupandosi di quello che era utile per lui: l’istruzione, un mestiere; di quello che faceva, controllandolo. Il suo complice vuole cambiare vita. Se Ugo potesse tornare indietro…
Gli doveva rispetto la scuola. Iscritto, non frequentava. Ci sono iscritti che vengono allontanati e iscritti che si allontanano perché trovano la scuola inutile e noiosa. Tanti di noi, per anni uomini di scuola, abbiamo ancora gli incubi pensando a nostri alunni che hanno fatto una brutta fine. E non perdoneremo mai chi al posto di dotare le scuole di organici e strumenti adeguati, si è inventato il trucco dei progetti, soprattutto quelli megagalattici.
Gli dovevano rispetto le altre istituzioni. Chi si preoccupa, o dovrebbe preoccuparsi della qualità della vita, dell’ambiente e della salute, della cultura e del tempo libero, della casa e del lavoro. Per tutti i cittadini, ma soprattutto per i ragazzi: i più esposti alle contraddizioni della nostra iniqua società.
Ugo non vive. Ugo è morto. È un fatto così enorme; non c’è, non ci può essere rapporto di causa ed effetto tra chi non gli ha riconosciuto il rispetto che gli si doveva e la sua morte violenta.
E però prendere consapevolezza di questo mancato rispetto e provare a rimediare, aggiustare il tiro, sembra la strada giusta per ricordare Ugo. E qualche suo compagno, quello che ha scritto “Ugo vive”, decidendo di cambiare vita, continuerà davvero a farlo vivere in mezzo a noi.