Franco Buccino (Repubblica ed. Napoli 27 giugno 2022)
“È mai possibile che ogni problema della scuola tu pensi di poterlo risolvere con l’autonomia scolastica? Perché non porti qualche esempio e non spieghi cosa intendi per autonomia piena delle scuole.”
È vero che penso sempre all’autonomia. Di recente, in un bell’articolo su “scuola, percentuali e distrattori”, Simonetta Fasoli parlava del “processo di privatizzazione che da qualche decennio sembra investire la scuola”. E io leggendo ho pensato che i decenni sono quelli dell’autonomia inapplicata; “ereticamante” ho pensato che la “privatizzazione” potrebbe essere perfino buona se affidata alle scuole pubbliche (chiamate a rispondere del loro operato e finanziate in rapporto ai risultati conseguiti). In realtà ci sono le parole giuste: non è privatizzazione, ma autonomia. Ecco: la privatizzazione sta alla scuola privata come l’autonomia sta alla scuola pubblica!
Comunque, tornando alle domande, lo sapevo che prima o poi me le avrebbero fatte. Il vero problema non è tanto, credo, portare qualche esempio, ma il chiamare in causa, con l’autonomia, soggetti che dovrebbero fare cose diverse da quelle che attualmente fanno.
Già anni fa mi capitò di avere un’accesa corrispondenza sui social con un collega sulle scuole aperte d’estate. Aperte tutto l’anno dicevo io, e provavo a dimostrare la fattibilità anche d’estate. Lui controbatteva punto su punto, ma alla fine scrisse che se io e altri come me volevamo farlo, lo facessimo pure!
Corro il rischio di farmi molti altri nemici e soprattutto di essere compatito: “Poverino, è uscito da molto tempo dalla scuola”.
Prima di cominciare con gli esempi, devo dire che immagino la scuola pienamente autonoma e i suoi addetti con alcune, non semplici, nuove caratteristiche. Presento quelle che, secondo me, sono le principali.
I docenti dovrebbero avere titolo a insegnare, oltre che sulla loro classe di concorso, anche su ambiti disciplinari, che raggruppano più classi di concorso, secondo tutti i titoli posseduti (lauree, esami, esperienze pregresse di insegnamento, di ricerca o di lavoro). Supplenze e sostituzioni, fatte da loro, nelle loro scuole, diventerebbero un’altra cosa: tempestive, in linea con la programmazione d’istituto, in un contesto di colleghi e alunni ben noto.
La scuola autonoma deve avere un finanziamento per tutte le necessità; l’importo, non modificandosi i parametri, dovrebbe essere almeno pari a quanto è costata l’anno scolastico precedente (stipendi, supplenze, e ogni altra spesa).
Ogni anno un ente esterno deve esaminare, sotto i vari aspetti, le attività della scuola e valutarne i risultati, decidendo l’integrazione del budget se insufficiente ovvero la distribuzione dell’eventuale eccedenza tra il personale e/o un fondo interno, comunque ad esso destinato.
Nella scuola pienamente autonoma, contratto di lavoro nazionale e contrattazione d’istituto sono entrambi fondamentali. Pensiamo alla retribuzione, all’orario di lavoro, a retribuzioni aggiuntive, a incarichi, a figure professionali nuove, a carriere per gli insegnanti, a una dirigenza effettiva per i capi d’istituto, a una riorganizzazione del lavoro per il personale Ata, a un ruolo più importante per gli organi collegiali. Contratto, contrattazione, ma anche una profonda rivisitazione della legge sull’autonomia e un nuovo stato giuridico del personale.
Lo so che a questo punto ho messo d’accordo i lettori interessati alle cose dette e quelli preoccupati per lo stesso motivo: in attesa di queste novità l’autonomia scolastica resta ibernata per altri decenni!
Vorrei provare a stemperare la delusione degli interessati e la gioia dei preoccupati con alcune semplici domande o considerazioni.
Fino a quando reggerà un sistema di reclutamento per cui qualunque cifra di personale venga immesso nei ruoli, l’anno successivo ci sarà bisogno di altrettanti supplenti annuali.
Mentre si fa una sanatoria per eliminare il precariato, nel frattempo si forma un nuovo consistente esercito di precari.
Fino a quando potrà essere sopportato un sistema di mobilità, per cui annualmente per trasferimenti definitivi, annuali, assegnazioni provvisorie, nuove nomine in ruolo, graduatorie, nomine di supplenti, l’Amministrazione scolastica è impegnata a tempo pieno e a ranghi compatti per mesi e mesi (pensate ai ricorsi…). Al danno che deriva alle scuole non si pensa. Si scompaginano consigli di classe, la continuità didattica non conta niente.
Altro capitolo doloroso sono le supplenze “del preside”: un capitolo insostenibile e senza controllo. A volte didatticamente inutili se non dannose. Mentre tante risorse interne sono sottoutilizzate.
E non si tratta solo di problemi economici. Ci sono questioni organizzative, di spazi. Visto il notevole calo demografico, bisognerà pur rivedere la rete scolastica, la dimensione delle singole unità scolastiche su più plessi. Eliminare classi pollaio e mini classi. Attrezzare spazi alternativi alle aule. Ottimizzare spazi comuni. Generalizzare modelli di tempo lungo, prolungato, pieno. A livello di singole scuole, ma anche a livello di reti (che occorre costruire insieme).
Se non per scelta, almeno per necessità, bisogna metter mano all’autonomia scolastica. Anche con passaggi graduali e tempi “personalizzati”, ma senza discriminazioni territoriali!
Se avviamo il percorso che ci porta alla piena autonomia scolastica, risolveremo tanti problemi. Spenderemo meglio le risorse. Potremo affrontare fenomeni come la dispersione scolastica, ma anche la demotivazione di tanti insegnanti, la disaffezione di genitori e rappresentanti delle istituzioni verso gli organi collegiali delle scuole. Potremo anche dedicarci, le singole scuole, in ogni quartiere e in ogni comune, all’istruzione degli adulti. Magari alleandoci con le associazioni del Terzo Settore.
Dovremo, insomma, provare a trasferire quelle attenzioni, preoccupazioni, che abbiamo per figli e nipoti, quei sacrifici e quelle ambizioni che abbiamo per loro, alla scuola. Che li forma e li prepara. Alla scuola pubblica. Da genitori e nonni a cittadini! Da docenti e personale della scuola pubblica a cittadini!