Franco Buccino
Venerdì scorso, 11 novembre, sono stato, fatto insolito per me, alla presentazione di un libro di poesie, intitolato “A un metro di distanza. Poesie 2020-2022”. In copertina ha una sorta di post-it, che annuncia: “Usciremo di casa/ come i fiori/ tra le pietre”. Autore il poeta Ciro Tremolaterra. Professore di storia e filosofia all’Umberto, precedentemente all’Urbani di San Giorgio a Cremano, dove sono stato preside per due anni e dove, appunto, ho conosciuto Ciro.
La sala della libreria IoCiSto, al Vomero, era piena di colleghi, amici, uomini di scuola e una nutrita rappresentanza di suoi studenti, che, non certo cooptati, venivano a testimoniare il loro affetto e la loro stima. Spronata a dire un suo pregio, la studentessa chiamata in causa ha risposto: “È comprensivo”. Che mi sembra un bel complimento per un docente, e anche per un poeta.
Il libro raccoglie le poesie composte soprattutto al tempo della pandemia. Da ciò il titolo: il famoso metro di distanza! Che diventa nel libro un parametro più universale di distanze. Da quella che non si sa colmare nella relazione con la persona amata. A quella che nasce dalla sordità grave che affligge il nostro autore, condannato all’isolamento se non fosse per la tenacia con cui è attaccato alla vita e ai rapporti sociali. A quella, che sembra incolmabile, con le persone che non ci sono più, come il suo papà. “Sono tornato a casa,/per un attimo ho immaginato/ dalla strada/ la finestra illuminata/ com’era prima./ La tristezza/ è vedere la luce/ a un piano diverso”.
Assenza, abbandono, pandemia: l’emozione è presente in ogni verso della raccolta, ma senza scadere nella disperazione e neanche nel lamento. E forse Ciro torna al suo ruolo di educatore: a ricordare quello che abbiamo vissuto ai tempi della pandemia, ora che ci accingiamo a ricostruire. Ricominciamo dai sentimenti, ci dice. “Tra i beni di prima necessità/ è l’amore,/ che non si può acquistare”. Un’educazione alla resistenza e alla rinascita. Nei momenti difficili per un paese il ruolo dei poeti è sempre importante, soprattutto a orientare le anime sensibili a una visione della vita, del mondo, delle relazioni, più consapevole e condivisa.
Sembra che l’autore definisca al meglio il suo discorso poetico proprio nei momenti più difficili: per esempio quando alla fine della giornata si toglie gli apparecchi acustici. Nel silenzio non si isola, ma si attacca alla vita, alla vita con gli altri, e intesse un dialogo fitto, come non riesce a fare a telefono….
Ciro ama gli altri; sa anche intrattenerli. Mi ha ricordato un po’ Troisi, nell’incontro, per come sapeva relazionarsi piacevolmente. Scrive poesie brevi? “Così le leggono fino in fondo. E anch’io ci metto poco a declamarle!”. Perché scrive poesie? “Scrivo le poesie, le raccolgo in un libro, faccio la presentazione, come stasera, tutto solo per incontrare voi!”
Mi sono chiesto alla fine: ma cosa insegna veramente Ciro? Forse insegna a sentire. Sì proprio lui che soffre di sordità. Ma, attenzione! «Col tempo mi accorgo che non voglio sentire meglio le voci, ma sentire voci autentiche».