Proposte per una scuola migliore

Franco Buccino

Repubblica ed. Napoli 30 aprile 2024

L’ultimo mio intervento, dal titolo emblematico “le supplenze non finiscono mai”, ha suscitato un po’ di reazioni, in genere negative. L’avevo messo in conto: è difficile superare la diffidenza verso proposte nuove da parte di precari, supplenti, fuori sede, sistematicamente vittime del sistema scuola. I quali pensano che comunque tale sistema, dal reclutamento alla mobilità, sia l’unico possibile e, in ogni caso, in esso siano inevitabilmente incardinati, incatenati. Neanche si rendono conto di quanti in esso lucrano sulla loro pelle: uffici sindacali, uffici legali, enti di formazione, centri di preparazione ai concorsi, università telematiche e non, ecc. ecc.

Agnelli sacrificali, ma non sono le sole vittime. In prima fila ci sono i loro studenti, ai quali troppo spesso, per la macchinosità e la lungaggine delle operazioni relative al personale, è negata la continuità didattica, spesso l’integrità di un anno scolastico, il diritto allo studio. Poi ci sono gli insegnanti stabili, di ruolo, magari in sedi comode: a entrambe le categorie, precari e di ruolo, sono negate il più delle volte le condizioni per esplicare la loro professione, per esempio quella collegialità che è complementare alla libertà d’insegnamento, o un trattamento economico dignitoso. A tutti, senza distinzione, docenti e allievi, sono negati spesso luoghi accoglienti, edifici scolastici con aule capienti, laboratori attrezzati, biblioteche, palestre e locali per la mensa.

Ci sono altri due attori che entrano in questa rappresentazione: genitori e famiglie da una parte, enti locali e istituzioni pubbliche dall’altra. Dovrebbero essere i naturali alleati delle scuole nel progetto di formazione dell’uomo e del cittadino; e invece spesso ne assecondano il vizio capitale, l’autoreferenzialità. Lo fanno scaricando su di esse tutte le contraddizioni della società, del mondo degli adulti, e affidando ipocritamente ad esse tutte le “educazioni” perché “si deve cominciare dalla scuola…”

Mi sono convinto solo di recente che anche la scuola ha bisogno che ogni soggetto, di quelli che in ultimo ho citato, dovrebbe interagire con gli altri, facendo la sua parte. E invadendo il meno possibile il campo specifico della scuola. Basta con i doposcuola, basta scimmiottare la scuola nei loro progetti destinati ai ragazzi. Per combattere la povertà educativa ci vogliono cinema, teatri, biblioteche, musei, viaggi, sport, educazione stradale, sanitaria, alimentare, e tutte le altre. Questi sono i settori nei quali devono svolgere un ruolo importante: famiglie, associazioni, terzo settore, parrocchie. Ottenendo il dovuto sostegno!

Tornando alla scuola, due considerazioni sono da fare.                                                                                                        La prima. Parlamento e governo devono assumersi la responsabilità di definire, oltre ordinamenti, piani di studio e orari, i parametri e le caratteristiche della singola unità scolastica, la rete scolastica, le piante organiche, lo stato giuridico del personale in accordo con il contratto di lavoro, il sistema nazionale di valutazione, il diritto allo studio.                                                                                                                                                                                 La seconda. Dare attuazione piena all’autonomia delle singole istituzioni scolastiche. Autonomia organizzativa, didattica, gestionale, di ricerca e sperimentazione. Sono ventisette anni che la legge sull’autonomia scolastica viene disattesa. E così, in ogni ipotesi di cambiamento viene meno il contributo fondamentale di docenti e altro personale, insieme a quello di studenti, genitori e enti locali.

Per essere protagonisti bisogna avere coraggio e generosità, anche nell’accettare cambiamenti che possono crearci qualche problema, se è nell’interesse dei nostri studenti. E non dimentichiamo che alcune soluzioni, quelle proposte la volta scorsa o altre, se condivise e se risolvono alcuni problemi, le dobbiamo trovare noi. Prima che ci pensino gli altri, politici e ministri compresi.                                                     

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