Franco Buccino
L’evoluzione del concetto di Terza Età, che si era tragicamente interrotta con la pandemia e che si sta faticosamente riprendendo in questi anni, riceve un contributo originale e importante dal libro “L’età sperimentale” di Erri De Luca. E di Ines De La Fressange, che gli fa da contrappunto. L’arte e il fascino della parola, delle metafore, della poesia, al servizio della “causa”!
Non più di una trentina di anni fa ha cominciato ad affermarsi l’idea che gli anziani non sono un peso sempre più insopportabile per la società; l’idea che, insieme all’assistenza, sanitaria innanzitutto, è utile e necessaria per loro la promozione sociale. E poi, in un rapido succedersi, che gli anziani sono i destinatari privilegiati di iniziative per l’apprendimento permanente, che, come ogni età, anche la “terza” ha la sua dignità con le proprie specificità: a vivere la vita, l’amore, a rivendicare i propri diritti, a praticare l’invecchiamento attivo. Una vera e propria rivoluzione culturale!
A questa rivoluzione Erri De Luca dà dignità letteraria. E non solo, offre anche spunti e approfondimenti. A cominciare dalla “sperimentazione” consegnata agli attuali anziani.
Nessuna generazione prima di questa ha raggiunto la vecchiaia in così numerosa formazione e in uno stato così attivo, e questo la rende oggi un’età sperimentale… A che somiglia quest’età? Alla risalita di un bosco di montagna. Nel fitto delle conifere entra poca luce, vedo giusto quello che mi sta stretto intorno, ma verso l’alto si diradano, si aprono radure, c’è più luce. In questa età da cima del bosco vedo lontano, scorci di futuro, non il mio, quello senza di me”. Come la gioventù guarda al futuro, così “anche i nuovi vecchi vedono più lontano, in cima al loro bosco… È un’età sperimentale. Ho la strana sensazione che nessuno è stato vecchio prima di me. La vecchiaia di chi mi ha preceduto non mi fa da modello e non mi prepara a niente. Per il corpo di ognuno, quando succede è per la prima volta.”
Le parole più belle, la metafora, quella della “risalita di un bosco di montagna”, la più indovinata, contribuiscono a dare alla terza età insperato fascino e piena dignità. Che, a pensarci bene, neanche il Covid è riuscito a fermare. Anzi, in piena pandemia, mentre morivano infettati dal virus soprattutto gli anziani (e spesso da soli), a noi è capitato di pensare a questa grande categoria, la più grande per fascia d’età, come a una sola grande famiglia, senza differenze tra uomo e donna, tra ricco e povero, tra istruito e ignorante, tra autosufficiente e invalido. Una grande idea di democrazia, di solidarietà generazionale, un’idea da continuare a portare avanti.
Ci sembrava un definitivo passo avanti. Poi, in una manciata di anni, ha fatto rapidi progressi il calo demografico: le scuole si spopolano, come le zone interne; i lavoratori mancano, per ora in agricoltura e nell’artigianato; la pensione per gli attuali giovani diventa un miraggio.
Si sono così aperte due strade, complementari di sicuro: ma parallele o convergenti? Da una parte la nuova terza età, che non ha precedenti, non ha modelli, una terza età che è sperimentata da ogni singolo anziano. Dall’altra una terza età che è chiamata, nell’attuale scenario sociale, a dare una mano per risolvere i nuovi problemi; che è chiamata a dare un contributo importante, essendo destinata a diventare la fascia d’età più numerosa.
È il piccolo dilemma di chi cerca, subisce, il fascino del narratore, di chi sperimenta, con un corpo allenato, la salita del bosco di montagna, dalle conifere alle radure, che s’inebria in cima alla vista del panorama, che è convinto di vivere la parte migliore della vita. E contemporaneamente si trova da anni impegnato in un’associazione di volontariato, di anziani per anziani. E ha a che fare con un numero consistente di anziani, suoi coetanei, che praticano l’invecchiamento attivo, ma anche con una schiera ancora più numerosa di anziani che vivono in povertà, in solitudine. Tanti non autosufficienti che magari abitano ai piani alti di palazzi senza ascensore. Accomunati tutti dalla preoccupazione per figli e nipoti, per le difficoltà economiche, per la qualità della vita scadente, per i cambiamenti climatici, e soprattutto perché si troveranno a vivere, sempre più, in una società di anziani.
Allora possiamo dire che l’età che noi anziani stiamo vivendo, la terza età, non è, non può essere sperimentale solo individualmente. Siamo chiamati a sperimentare un nuovo modello sociale, che a breve s’imporrà di pari passo con una maggioranza di cittadini anziani. Una nuova organizzazione del lavoro, un nuovo rapporto con intelligenza artificiale, con domotica. Un nuovo sistema d’istruzione che non si ferma mai perché deve accompagnare i nuovi cittadini, anziani e attivi. Ci sarà anche una classe politica a maggioranza anziana: in cui probabilmente i problemi non saranno più il numero dei mandati, l’ambizione, il clientelismo, il corporativismo, il localismo. Magari per scelta e per necessità, con accordi internazionali, anche grazie a loro, si governeranno le inevitabili migrazioni, procedendo a una distribuzione equa ed equilibrata della popolazione mondiale.
Chissà! Intanto le due dimensioni dell’”età sperimentale”, individuale e collettiva, non solo non sono alternative, non solo non vanno ognuna per fatti loro, ma si sostengono reciprocamente e insieme si tengono in vita.