MEZZOGIORNO, SCUOLA E PNRR

Franco Buccino

Siamo stati piacevolmente sorpresi dal ruolo rilevante che ha assunto il Mezzogiorno nell’agenda politica del governo di Mario Draghi e nella considerazione di forze imprenditoriali e sindacali. Complice il Pnrr con la sua più che appetibile dotazione. L’idea di un annuale incontro di Sorrento, con l’ambizioso obiettivo di essere parallelo al Forum Ambrosetti di Cernobbio, sposa l’idea di un Sud non piagnone, che aspira a divenire protagonista della ripartenza del nostro paese.

In questo clima si inserisce la firma del patto educativo, pensato dal vescovo Battaglia, fortemente voluto dal ministro Bianchi, che mira, oltre a consolidare la formazione di una più che qualificata forza lavoro intellettuale a servizio, da sempre, dell’intero paese, anche a recuperare ampie schiere di ragazze e ragazzi dai tristi fenomeni dell’evasione e soprattutto dell’abbandono scolastico.

Ci misuriamo con queste problematiche, riassunte con il termine “dispersione scolastica”, tante volte affrontate nei decenni scorsi, con la consapevolezza che non possiamo fallire come è sistematicamente successo fino ad ora. Anche perché dispersione scolastica, insieme a cronica mancanza di lavoro, sono all’origine di ogni deviazione e di ogni arretratezza, e di ogni altra contraddizione che ci caratterizza.

Occorre, rapidamente, vedere le cause del fenomeno, considerare le tipologie dei ragazzi coinvolte, esaminare alcuni tentativi di risolvere il problema, osare perfino qualche proposta. Tutto alla luce di una certa esperienza fatta. E ha un senso proporlo ora che il Mezzogiorno, con tutti i suoi problemi, scuola compresa, è al centro dell’attenzione.

La dispersione scolastica, nelle sue varie forme di evasione, dispersione propriamente detta, insuccesso, pur senza nessun rapporto automatico di causa effetto, dipende troppo spesso da situazioni economiche e sociali della famiglia di appartenenza, così come da modesti titoli di studio dei genitori. In un tale contesto spesso si determina una sorta di povertà educativa permanente, per cui le difficoltà permangono anche migliorando la situazione economica o l’ambiente sociale. Tale contesto va oltre la famiglia, e si estende al vicinato, al paese, ad alcuni quartieri della città, alle periferie…

Un discorso a parte va fatto per la disabilità, che non è solo quella evidente e conclamata, che pure di solito vede interventi tardivi, ma quella di piccoli disturbi, meno visibili e considerati, che però tante volte segnano negativamente l’intero percorso scolastico e formativo di un ragazzo.

Questa sommaria analisi sarebbe gravemente carente se non si estendesse alla scuola stessa, che, per quote importanti di alunni e studenti, non solo non è in grado di arginare insuccessi e abbandoni, ma ne è essa stessa causa.

Il vero dramma della dispersione scolastica è che la scuola è sempre la stessa: nel quartiere bene e in periferia, al Vomero e a Scampia. La scuola è fatta, costruita, per uno standard di alunno che non ne rappresenta neppure la metà. Soprattutto se consideriamo non il numero di promossi, ma il livello di preparazione raggiunta.

La scuola ha una rigidità unica, a cui in pochi si adattano. La fuga dai banchi rappresenta una scelta obbligata per tanti ragazzi. Il recupero non può significare riportarli negli stessi banchi.                                                        Il progetto Chance, espressione matura dei “maestri di strada”, ignorava quasi del tutto gli ordinari spazi di una scuola, a parte palestre e laboratori (se c’erano). E spesso si rivolgeva a strutture non solo pubbliche, cioè comunali, ma anche private. Avendo una ragguardevole dotazione di risorse economiche oltre che di personale qualificato. E, secondo me, questo era anche il limite suo e di ogni possibilità di generalizzazione.

Perché, per ogni ipotesi di recupero e di azzeramento della dispersione scolastica, non ci sono alternative alla scuola, con le sue risorse, dotazioni, personale. Ma è, evidentemente, la scuola che deve cambiare. Meraviglia che ancora non ne siano tutti completamente convinti.

La singola scuola, oggi, è solo l’estremo terminale in un sistema di formazione gestito dall’Amministrazione scolastica centrale e periferica. Non ha nessuna autonomia e dipende in tutto e per tutto da un centro spesso burocratizzato, ingolfato, lento. Che si perde in incredibili operazioni  ogni anno, che durano spesso per lunghi mesi, dalle nomine ai trasferimenti, alle assegnazioni, alle graduatorie dei supplenti. Ne sono vittime i precari ma soprattutto le stesse scuole. Per non parlare di decreti e circolari che intervengono in ogni momento, e spesso disturbano l’andamento didattico faticosamente avviato.

Figuriamoci che spazio c’è per le scuole che vogliono affrontare il problema della dispersione! Ci vorrebbe un’autonomia piena delle scuole. Poche regole e principi generali, il dover rispondere dei risultati, e un’adeguata disponibilità finanziaria. Con la stessa cifra che oggi costa annualmente , una scuola autonoma potrebbe fare tantissimo di più per i propri alunni, soprattutto per i votati alla dispersione.

Non rassegniamoci ai soliti progetti, in cui anche cifre importanti si disperdono in mille rivoli, in cui una cosa è la scuola al mattino un’altra cosa il pomeriggio, in cui docenti e animatori di associazioni s’incontrano solo nelle riunioni formali. Dovrebbe essere solo una scuola che funziona ad aver bisogno di competenze esterne. E magari non solo d’estate.

Incominciamo con qualche cambiamento coraggioso. E mettiamo mano senza indugi alla completa Autonomia Scolastica, soprattutto per i nostri ragazzi!

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