la scuola entra nella campagna elettorale

FRANCO BUCCINO

(REPUBBLICA ed. Napoli 1 settembre 2022)

In queste settimane si dedicava, tradizionalmente, molto spazio alla scuola e agli immancabili problemi sempre connessi all’avvio di un nuovo anno scolastico. Quest’anno no, per via della breve, ma intensa, campagna elettorale. Che però, ovviamente, “ingloba” tutto, e quindi anche formazione, istruzione, scuola.

Sul tema ha esordito Letta. In una maniera un po’ incauta ha tirato in ballo gli stipendi degli insegnanti da portare a livello europeo (Sono in buona fede i politici quando lo dicono, ma poi trovano sempre altre urgenze…). Subito dopo ha fatto bene a porre la questione dell’obbligo scolastico a diciott’anni.                 Non mi stupisce la prima reazione, di tipo trasversale, di chi si spaventa all’idea di stare più tempo a scuola. Evidentemente molti non ci sono stati o non ci stanno bene: disagio, verrebbe da dire, altro che questioni ideologiche.

In realtà la questione è molto complessa. Intanto fa discutere l’inizio e la fine dell’obbligo.                          Se la scuola dell’infanzia, dai tre ai cinque anni, deve essere “materna”, allora è un surrogato e andrebbe accuratamente evitata. Ma se pensiamo alla qualità e quantità di apprendimenti, all’acquisizione di strumenti per capire e muoversi nel mondo che li circonda, in questa breve fascia d’età, allora la scuola dell’infanzia è la più obbligatoria di tutte. Avere insegnanti laureati, con una laurea specifica, è una bella cosa: altro che insegnanti con solo due anni di scuola superiore. Come avveniva non tanti anni fa e come avviene purtroppo ancora in tanti “asili”. Per amore di verità, bisogna anche dire che a chi è responsabile di formazione interessa la fascia d’età 0-6, tout court! Non perché ci debba essere un obbligo 0-3, ma il diritto dei genitori a lavorare, sì. Il diritto dei bambini, fin dai primi anni, a essere ben seguiti, sì. Da genitori o esterni alla cerchia familiare. In entrambi i casi da persone preparate a svolgere una funzione così delicata. Il ruolo dei genitori rimane fondamentale almeno fino alla maggiore età dei loro figli, e questo vale per tutti i genitori, a prescindere dalle ore che dedicano a loro, e dalle ore in cui li affidano alla scuola!  

Dire poi che l’obbligo termina a diciott’anni, con la maggiore età, è una bella cosa, ma non è vero. Perché oggi in Italia ci si diploma ancora a diciannove anni. Ciò significa dover rivedere i cicli scolastici, così come sono strutturati nel nostro paese. L’operazione non è per niente semplice, ma va affrontata con decisione. Evitando quello che successe ai tempi del ministro Berlinguer, e cioè che per le resistenze della categoria degli insegnanti e degli apparati ministeriali si bloccò il riordino dei cicli. E bisogna anche chiarire, a scanso di equivoci e facili speculazioni, che l’obbligo fino a diciott’anni può essere anche formativo, volendo intendere che non è solo scolastico, ma che può essere assolto anche all’interno della formazione professionale. Laddove esiste un sistema regionale professionale!

Ma il tema dell’obbligo scolastico, e del suo innalzamento, in campagna elettorale impone una serie di considerazioni di natura più politica. In tanti abbiamo raggiunto, anche in assenza di obbligo, diplomi e lauree. Per appartenenza sociale, per volontà dei nostri genitori, per il nostro impegno. In tanti non hanno raggiunto i nostri traguardi. Sono rimasti indietro, li abbiamo persi di vista, sono scomparsi. Da scuola. Certo per responsabilità delle loro famiglie, del loro ambiente sociale, delle loro difficoltà economiche, anche per colpa loro. Ma soprattutto per colpa della scuola, che aveva e ha il compito di portarli al diploma e magari alla laurea. Forse l’obbligo riguarda più la scuola, e chi la organizza, la riforma, la dota delle risorse necessarie, che non il singolo ragazzo. E forse neanche la sua famiglia.

E noi siamo disposti a vedere il livello della scuola che “si abbassa”? com’è successo nel 1962 con la scuola media unica. Siamo disposti a far convivere i nostri figli in classe con tutti, proprio tutti? Disabili compresi? Com’è successo dal 1977 con la legge 517. Due esempi che purtroppo per molti hanno significato il “decadimento” della scuola. Allora c’è bisogno di un salto culturale tra i cittadini. C’è bisogno soprattutto che la maggioranza di noi non approvi l’ideologia di quei pochi che, non potendo far parte dell’élite che sceglie istruzione, sanità, eccellenti e private, cerca comunque di portare nel pubblico selezione ed emarginazioni.                                                                                                                              Chi si candida a governare, è disposto a sostenere l’innalzamento dell’obbligo, che poi vuol dire istruzione e formazione per tutti, con adeguati strumenti normativi, con la formazione per il personale, con adeguate risorse per la loro realizzazione, con la volontà precisa di ridurre le enormi differenze territoriali, per cui anche, e soprattutto nell’istruzione, il Sud è discriminato? 

Mi sembra che, anche da solo, questo tema giustifichi una scelta attenta e motivata nella cabina elettorale!

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