Buon giorno a tutti. Un mio articolo su Repubblica ed. Napoli di oggi,16 novembre 2024.
L’intervento
QUEI RAGAZZI CON LE PISTOLE
di Franco Buccino
Alcuni di noi, insegnanti, presidi, collaboratori scolastici, abbiamo trascorso gran parte della nostra vita lavorativa nelle scuole di Napoli orientale e zone limitrofe: San Giovanni Barra e Ponticelli, San Giorgio a Cremano e San Sebastiano al Vesuvio, Portici e Ercolano.
E ci è capitato, tra le tante esperienze, alcune esaltanti e altre che ci avvilivano, di fare anche quella di alunni o studenti uccisi. Giovanni e il suo cappellino intriso di sangue e segatura, ammazzato ai bordi del supermercato su via Repubbliche Marinare, mentre portava a spasso un cavallo della malavita. Cesare, anche lui barrese, camuffato da adulto, ucciso davanti a un locale in via Manzoni a San Giorgio. Fino a Enzo, ucciso a trent’anni davanti al Parco Bacci a San Giorgio, con un destino segnato da quando ci dava tanti problemi a scuola e da quando uccisero il padre in un regolamento di conti. Ragazzi che dovevano stare a scuola ma erano “evasi”, o di cui la scuola, quasi con un senso di sollievo, si era liberata, o prigionieri di un contesto da cui non erano riusciti a uscir fuori. Anche i loro omicidi, spesso coetanei, erano, o erano stati, nostri alunni. Accomunati, tutti, dall’etichetta di alunni difficili, molto difficili: capaci di mettere in crisi il sistema scuola, a volte perfino i servizi sociali, e spesso all’attenzione delle forze di polizia e del tribunale dei minori.
A distanza di anni sono quelli che ricordiamo di più. Gli altri in un modo o nell’altro se la sono cavata. Ma per gli alunni più difficili rimane il rammarico di non aver fatto quanto era nelle nostre possibilità, di esserci arresi troppo presto, alla fine di averli esclusi anziché includerli. Vigeva e vige la regola che chi non si adegua alla scuola, chi non risponde positivamente ai sempre scarni tentativi di recupero, viene messo fuori. Bisogna essere severi per la tutela della maggioranza degli studenti e per il buon nome della scuola, si dice ipocritamente. Quello che ancora ci rattrista e in certi momenti ci procura degli incubi è il non aver colto, il non aver capito, tutti i segnali che arrivavano in continuazione da questi alunni, veri e propri Sos, richieste di aiuto, nei modi e nelle forme più disparate. Perfino con le ribellioni o con il volersi mettere in mostra. Il non aver colto nei loro sguardi, oltre la sfida e lo scherno per le istituzioni, qualche volta un lampo di paura, di disorientamento, il rifiuto di un ruolo di duri che si vedevano costretti a svolgere. Non ci perdoniamo il senso di liberazione che qualche volta abbiamo provato quando qualcuno di questi alunni se n’è andato, non ha frequentato più. Ci dovrebbero riflettere bene, oltre quelli che operano nelle scuole, i responsabili politici, i ministri. Quanti di questi tempi ancora pensano di intervenire col voto in condotta. Ancora, rispetto agli ultimi tragici episodi, il ministro ha proposto il divieto sui social per gli studenti con meno di quindici anni. La verità è che per la scuola e per quelli che la “abitano” non c’è alcun interesse: i docenti, malpagati e maltrattati socialmente; i ragazzi privati del giusto tempo dell’apprendimento. In troppi sono convinti che istruzione e ricerca sono un costo, altro che investimento. Allora bisogna “risparmiare”. Col tempo ci siamo quasi rassegnati. Ma quando i nostri alunni difficili muoiono di morte violenta o uccidono con le pistole, allora non cerchiamo più alibi e giustificazioni. © RIPRODUZIONERISERVATA