di Franco Buccino
Nei giorni scorsi il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Valditara, ha emanato il decreto di adozione del Sistema nazionale di valutazione dei risultati dei dirigenti scolastici. Valutazione che avverrà in due fasi: assegnazione degli obiettivi (definiti a livello nazionale e regionale) e valutazione a cura dei direttori degli Uffici Scolastici Regionali, garantendo un eventuale momento di contraddittorio con gli interessati e il ruolo di un organismo di garanzia. A questi esiti sarà collegata la retribuzione di risultato. L’argomento non è nuovo, anzi va avanti da circa venticinque anni: da quando cioè i presidi sono diventati dirigenti, dirigenti scolastici per l’esattezza. Da quando si è provato ad attuare l’autonomia scolastica. Tentativi vari che però non hanno trovato una definizione e un’attuazione accettabili. Anche il nuovo decreto non è stato ben accolto: basti dire che il CSPI, il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, ha espresso parere negativo, a meno che non vengano accolte tutte le sue osservazioni. Giudizi negativi, critiche o dubbi sono stati avanzati da associazioni e sindacati di categoria. Tutte le osservazioni sono riconducibili al rapporto tra scuola autonoma e amministrazione scolastica: il preside è l’articolazione terminale del Ministero o il rappresentante della scuola autonoma? Sono in ballo diritti costituzionali: diritto allo studio e libertà di insegnamento, autonomia della singola scuola e compiti dello Stato. Il Ministro, nel comunicato che accompagna il nuovo decreto, parla delle difficoltà che lo accompagnano, soprattutto di una forte ostilità culturale. Non si può non essere d’accordo! Ostilità verso la dirigenza scolastica, ma la vera ostilità è verso l’autonomia delle singole scuole. Un’avversione, contrarietà, ostilità, che è trasversale e coinvolge gran parte dell’Amministrazione scolastica ma anche una parte significativa del personale della scuola. Più di una ventina di anni fa, quasi una trentina, diversi di noi, presidi appartenenti a sindacati e associazioni, provammo a costruire la figura apicale del dirigente nella scuola. Sembrava una nostra velleità, fino a che non si incrociò con l’autonomia scolastica, con la legge Bassanini del ’97. Che definì un’autonomia delle scuole didattica, organizzativa, di ricerca, ma che ne toccò solo in minima parte gli aspetti gestionali, per niente quelli finanziari. In ogni caso, per questa scuola autonoma si pensò a una figura dirigenziale. Dopo molte discussioni prevalse l’idea e il profilo del dirigente scolastico: dirigente sì, ma proveniente dalla docenza. Come l’autonomia della scuola era ed è a metà, così anche la dirigenza del capo d’istituto era ed è a metà. Avemmo un riconoscimento economico che ci portò a distanziare docenti e altro personale, ma rimanemmo ben distanti dalla dirigenza pubblica, quella vera. E non è stato solo un problema economico. Abbiamo capito ben presto che le scuole continuavano ad essere dirette e condizionate da Ministero e Provveditorati o Direzioni scolastiche regionali. L’autonomia spesso si riduce a compiti sui quali l’amministrazione non ha intenzione di metterci un euro o che non riesce a normare: rogne che scarica sulle scuole “autonome”! E allora quelli che dovevano essere istituti contrattuali propri della dirigenza e dell’autonomia, sono stati gradualmente disattesi: rotazione effettiva degli incarichi, valutazione del dirigente con significative quote di stipendio di risultato, e così via. E si è tornati ai vecchi trasferimenti, punteggi, precedenze, ecc. Ora il ministro Valditara, in linea con i suoi interventi decisi, ha pensato di metter mano alla valutazione dei dirigenti scolastici, argomento che gli procura la simpatia di tanti. Almeno fino a che non si scoprirà che il nuovo sistema di valutazione consegna nelle mani del direttore scolastico regionale, anziché dei nuclei regionali di valutazione, le decisioni, o che le risorse economiche sono del tutto insufficienti. Si farà come al solito? Pochi soldi per tutti. O se graduatoria ci sarà, il punteggio dipenderà dal numero di classi, di plessi e di indirizzi. Altro che merito! La conclusione è che una dirigenza vera si realizza solo in una scuola veramente autonoma. Allora, provocatoriamente e con rammarico, continuiamo a chiamarli presidi anziché dirigenti scolastici, e lasciamogli, ben stretti, i vecchi istituti contrattuali.