Franco Buccino
La sentenza del Tar del Lazio che mette in discussione la presenza e il ruolo degli insegnanti di religione negli scrutini non è una buona notizia per la scuola italiana. Almeno per due motivi. Il primo. All’ avvio dell’ anno scolastico si sposterà su questa sentenza l’ attenzione dei cittadini dai problemi gravissimi che vivranno le scuole per i tagli di personale e per la riduzione di risorse. Il secondo. Si rovesceranno sulle scuole questioni politiche, giuridiche, ideologiche, che poco le riguardano, che le turberanno e le danneggeranno. Le scuole sono delle comunità aperte, discrete e tolleranti: verso i ragazzi spesso, verso quelli che vi lavorano quasi sempre. Accolgono i nuovi docenti allo stesso modo, sia che si tratti di plurisanati senza neanche il titolo di studio richiesto, sia che si tratti di reduci da dottorati di ricerca e da periodi di studio all’ estero. Poi, sul campo, si stilano graduatorie non scritte in base a impegno, disponibilità, competenze, e si realizzano spontanee compensazioni. Ne sono ben consapevoli scolari e dirigenti, insieme. In questo estemporaneo ed efficace sistema di valutazione gli insegnanti di religione sono messi abbastanza bene. Dopo il passaggio un po’ traumatico di parecchi anni fa dagli insegnanti preti a quelli laici, oggi gli insegnanti di religione hanno mediamente una cultura di livello universitario, partecipano di norma attivamente alla vita scolastica, ricoprono spesso incarichi di responsabilità all’ interno dei collegi, sono abbastanza autonomi e non danno l’ idea di lasciarsi condizionare dalle gerarchie ecclesiastiche. Chi si appresta a dare battaglia a loro e al loro insegnamento, non ne sottovaluti la popolarità. L’ insegnamento della religione è importante come gli altri, non corona un bel niente ma non è neanche aggiuntivo. La titolarità di questo insegnamento, come di tutte le attività didattiche, è in capo alla scuola, e come tutte le attività anche per questa materia di studio gli alunni vengono sottoposti a una valutazione, che è sempre collegiale. Dire che gli insegnanti di religione non partecipanoa pieno titolo agli scrutini, dal punto di vista della organizzazione didattica, è una sciocchezza. In parecchi potremmo testimoniare il loro contributo a una conoscenza più approfondita del singolo alunno in sede di valutazione intermedia o finale. I problemi non vengono dalle scuole. La verità è che per l’ insegnamento della religione il sistema scolastico nel nostro Paese non si è adeguato ai tempi. Avrebbe dovuto fare i conti, tra l’ altro, con la diffusione e il ruolo di altre confessioni religiose e di uno spirito sanamente laico che porta a scelte più consapevoli e meno meccaniche. Ma, come ben sappiamo, sono state tradite tante intuizioni e scelte del Concilio ecumenico Vaticano II e si è fatto anacronisticamente ricorso ancora al sistema “concordatario”. Per decisioni assunte fuori dalla scuola l’ insegnamento della religione è divenuto Irc, insegnamento della religione cattolica. Di conseguenza è facoltativo, e in alternativa bisogna garantire attività alternative, appunto. Senza altre specificazioni e fondi. E qualcuno si è meravigliato che tali attività non abbiano potuto competere con l’ ora di religione. Ulteriore alternativa è il non far niente. Le scuole sono rimaste ostili e diffidenti, per motivi didattici e organizzativi, alle “alternative” a un insegnamento strutturato e parte integrante del piano di studi. Perfino tanti genitori di “non avvalentisi” ritengono più serio far partecipare i figli all’ ora di religione. La qualifica di insegnanti di religione è divenuta meramente aggiuntiva a quella di idonei a insegnare religione cattolica da parte dell’ ordinario diocesano. Partendo da questo pedaggio dell’ idoneità, per loro si è realizzata un’ ibrida immissione in ruolo senza neanche tutti i diritti sindacali degli altri lavoratori. Non invidio, e non biasimo, giudici amministrativi che sono chiamati a districarsi in un groviglio di leggi, norme e ordinanze contraddittorie. A livello politico, siamo solo agli inizi delle discussioni. Da una parte si dice che non si può rimanere nell’ ambiguità, che bisogna salvaguardare i diritti costituzionali, riconoscere pari dignità a tutte le confessioni religiose, togliere il Crocifisso dalle aule, dall’ altra che occorre perseguire l’ educazione integrale del fanciullo, salvaguardare l’ identità culturale, riportare il culto nelle scuole. Tutte discussioni legittime, se fatte fuori delle scuole. Approfittando della chiusura delle scuole, dico anche la mia. Io penso che debba esserci l’ ora di religione nel piano di studi per tutti; religione che, in gran parte, non può essere che religione cattolica; gli insegnanti di religione vanno reclutati, come gli altri, dallo Stato; magari possono avere una seconda idoneità del vescovo o di altra autorità religiosa; in ogni caso devono avere lo stesso contratto di tutti gli altri lavoratori della scuola. E poi, lasciatemelo dire, sogno che la Chiesa rinunci a concordare nel nostro Paese posizioni di sicurezza e di privilegio e si affidi ai poveri cristiani come me per portare anche nelle scuole la buona notizia. Oltre l’ ora di religione.