L’AMICO PRECARIO PASSATO DI RUOLO

Franco Buccino
Repubblica ed. Napoli 12 novembre 2015

Anche il mio amico precario, insegnante di sostegno, è passato di ruolo. Dopo quindici anni di supplenze, a quarant’anni e passa. Ha dovuto lottare in questi anni per rimanere a galla: qualche scuola privata che non lo ha pagato, fuori regione e poi sedi scomode in regione, seconda laurea, sicsi e sostegno, master didattici e perfezionamenti presso fameliche università telematiche e non. Tanti come lui, un percorso ordinario, magari qualcuno con in più una provvidenziale “104” e altri che hanno fatto valere la riserva di legge per invalidità o altro. E’ fisiologico, anche qualche scorciatoia. Ma certo in diversi hanno giocato sporco, mal consigliati e mal guidati: falsi titoli, falsi certificati di servizio, false invalidità, manomissione del sistema e inserimento di dati falsi. Fatta l’operazione truffaldina, un passaggio in qualche provincia del Nord, e nomina in ruolo garantita. Ci sono anche denunciati e indagati che rimangono al loro posto. Il mio amico ancora si adira per queste sconcezze passate sotto i suoi occhi, così come si commuove per Carmine e quei precari che non ce l’hanno fatta più.
E non è che, passando di ruolo, i precari hanno risolto i loro problemi di lavoro. Il mio amico, come tanti altri della fase C, rimane a Napoli. Ma provvisoriamente. Poi, si sa, ci sarà la sede definitiva, e per molti ciò significherà andarsene dalla regione. A saperlo prima che cambiavano le regole in corso d’opera, dice il mio amico precario, uno se ne andava al Nord tanto tempo fa. Tutti i sacrifici che ha fatto per rimanere qui in questi anni, soprattutto economici, sono vanificati. E tante altre cose della legge 107, la “buona scuola”, non gli stanno bene, a lui e ai suoi colleghi. Trovano inaccettabile l’esclusione dalla stabilizzazione del personale Ata, l’obbligo per i docenti precari di “scegliere” tutte e cento le province, l’invenzione dell’organico potenziato, che in teoria risolve tanti problemi ed esalta l’autonomia delle scuole, ma in pratica lascia le cose così come sono, e cioè docenti titolari di una scuola che stanno lì stabili, e docenti incaricati che girano annualmente per le scuole. Organico di diritto e organico di fatto rimangono rigorosamente divisi. I neo immessi in ruolo della fase C continueranno a fare quello che facevano prima da precari. Alla fine, l’unica differenza è lo stipendio nei mesi estivi. Che non è poco, ma che non giustifica una migrazione.
Sono agguerriti i neo immessi in ruolo, e non si rassegnano a continuare a subire ingiustizie e discriminazioni. Non si lasciano intimorire dalla gerarchia scolastica, nemmeno davanti alla prospettiva di dover fare l’anno di prova. Dopo 15 anni di insegnamento sarebbe ben strano sentirsi dire che non si è idonei a svolgere questa professione, che rimane affascinante. Il mio amico precario, dopo poche parole su ruolo, sede definitiva e problemi, comincia a parlare del suo lavoro e della sua funzione di insegnante di sostegno. Come al solito ha le idee chiare. Si riferisce all’attuale discussione, molto accesa, fra addetti e non, comunque interessati al grande tema dell’inclusione scolastica. Tutti concordano nell’auspicare che gli alunni disabili rimangano in classe e non vadano in giro con il “loro” insegnante, che tutti i docenti di classe siano coinvolti nelle didattiche inclusive con un’adeguata partecipazione. Ma poi nelle soluzioni le strade divergono. In particolare sul ruolo dell’insegnante di sostegno e sulla sua formazione. C’è chi vorrebbe un insegnante di sostegno preparato attraverso una laurea specifica, triennale, specialistica e anno di tirocinio: una risorsa per alunni disabili e per tutti i docenti; e c’è chi lo preferisce così come è ora, un insegnante di una disciplina con una preparazione specifica sul sostegno. Il mio amico precario si schiera con questi ultimi, con argomentazioni convincenti. L’insegnante è tale perché insegna una materia, una disciplina; diversamente parliamo di un altro mestiere, di un altro lavoro, di un educatore, di un facilitatore, di un assistente. L’insegnante di sostegno deve essere alla pari con tutti gli altri insegnanti, titolare della programmazione e della valutazione di tutti gli alunni della classe. Può rimanere sul sostegno per un tempo congruo e poi passare a insegnare la sua materia, senza divieti. L’ideale sarebbero cattedre miste, sostegno e materia.
Hanno, come sempre, voglia di fare e di cambiare questi neo immessi in ruolo, giovani e meno giovani. Continueranno a fare con passione quello che hanno sempre fatto in tanti anni di onorato precariato. Una garanzia per le scuole e per gli studenti.

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