Franco Buccino
(REPUBBLICA ed. Napoli, 16 febbraio 2022)
Le votazioni di qualche settimana fa, per eleggere il presidente della repubblica, hanno avuto svariate chiavi di lettura: l’orientamento su chi votare, i rapporti tra schieramenti, tra partiti, e quelli all’interno degli stessi partiti. Per alcuni di noi se n’è aggiunta un’altra, fornita dal gruppo ormai storico di anziani che corre all’alba sul lungomare della nostra città, nel quale si è avviato, un po’ di giorni fa, un dialogo interessante.
Ha cominciato uno dei leader riconosciuti: “Avete visto l’età della quindicina di persone candidate a vario titolo nella corsa al Quirinale? Quattro sono nella sessantina, quattro hanno superato gli ottanta, sette o otto sono nella settantina. Draghi ha un anno più di me”. E non ha aggiunto altro.
Dopo un imbarazzante silenzio e, poi, vari chiacchiericci, ha preso la parola l’istruito, il “dottore”: “Se la Costituzione fosse scritta oggi, forse direbbe che per divenire Capo dello Stato bisogna avere, diciamo, sessantacinque, settant’anni, e non i cinquanta ancora richiesti”. Una risposta che solo di primo acchito mi è sembrata stravagante. In realtà tiene conto della diversa durata della vita e, soprattutto, della considerazione “positiva” di tutte le fasi della vita.
Il leader, avendo colto il senso dell’intervento, a scanso di equivoci ha ribattuto: “Draghi, che ha un anno più di me, può scegliere se fare il premier o il capo dello stato, io non posso fare neanche l’amministratore del mio piccolo condominio perché sono considerato vecchio, i miei figli cominciano a pensare di togliermi l’automobile e a preoccuparsi se faccio qualche spesa un po’ più seria…”
Il dialogo sì è acceso ed è andato avanti per tutta la corsa. Anche io mi sono chiesto, e ho chiesto nel gruppo, come mai, con grande facilità, sdoganiamo dall’hangar della vecchiaia i politici e poche altre categorie: scrittori, giornalisti, attori, cantanti; mentre vi stocchiamo la maggioranza degli over 65?
Certo, l’argomento è complesso, e non aiuta dire che gli anziani non sono “connessi” come quelli che contano, o che è colpa loro e dei loro problemi rimanere ai margini di ogni tipo di produzione. È vero, escono dal lavoro appena possono; ma, in molti, con le dovute garanzie e con adeguate tipologie di mansioni, ci rimarrebbero! Allo stesso modo, per “raggiunti limiti d’età”, si ritrovano a non poter ricoprire, come magari vorrebbero, una serie di incarichi, pubblici e privati. Anche se tali incarichi non li hanno mai ricoperti quando erano giovani o impegnati nel lavoro, e comunque non ancora anziani.
Mi chiedo se non verrà il momento in cui ci saranno quote “bianche” obbligatorie! Certo non è una bella cosa ricorrere alle quote. Ma che altro si può fare se non viene riconosciuta la pari dignità a tutti gli archi della vita, se non conta l’invecchiamento attivo, il perseguimento di un apprendimento permanente, il servizio volontario alla comunità.
E se si è così miopi da non vedere l’andamento demografico del nostro paese. Mentre la popolazione mondiale raggiunge il traguardo degli otto miliardi, l’Italia è destinata inesorabilmente alla riduzione della popolazione. Verrà il momento, tra non moltissimi anni, in cui offriremo nell’intero territorio nazionale case, lavoro e incentivi a famiglie disposte a trasferirsi in Italia. I nostri discendenti non riusciranno a capire come abbiamo fatto a rispedire indietro i migranti!
Tornando agli anziani, diciamo che non sono così velleitari da immaginare, quando saranno la maggioranza della popolazione che vota, di impadronirsi democraticamente del potere… E però un dialogo, un accordo, un patto intergenerazionale diventa indispensabile e urgente.
E con senso di responsabilità gli anziani, almeno quelli del gruppo, incominciano a dirsi: ”Ci rendiamo conto che pretendiamo molto: sanità, pensioni, apprendimento permanente, socialità, casa propria. Siamo disponibili a fare la nostra parte per il benessere di tutti? Cosa tocca fare a noi?”