Franco Buccino
(Repubblica ed. Napoli, 21 febbraio 2022)
Finalmente la scuola è più al centro dell’attenzione del paese e delle istituzioni. Accompagnata nel corso dei mesi da soggetti importanti della vita pubblica, che si sono espressi con chiarezza, mostrando grande considerazione e fiducia, e, soprattutto, riponendo in essa una grande speranza.
Landini, il segretario della Cgil, assaltata dai fascisti, che in piazza san Giovanni ha ricordato come quei facinorosi avessero “graziato” il quadro di Guttuso che sta all’ingresso: “Lo sapete perché? Secondo me non hanno capito cosa fosse, era troppo complicato per loro. Questo ci pone il tema che la conoscenza e la cultura devono essere un diritto garantito a tutto il Paese. Solo così sconfiggiamo il fascismo, l’ignoranza e la violenza”.
Il vescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, che alla luce dei fatti di cronaca che coinvolgono tanti minori, avverte l’urgenza di concretizzare al più presto un Patto Educativo per la Città: “Un patto educativo che coinvolga l’intera città metropolitana, abitandone ogni strada, dalle periferie al centro, senza escludere nessuno, mettendo insieme esperienze, ruoli, linguaggi e passioni differenti per dare vita ad un alfabeto comune dell’educare”.
Autorità riconosciute, i rappresentanti dei lavoratori e della Chiesa, indicano, o meglio, ricordano alla scuola la sua missione, quella di educare i ragazzi, i giovani, attraverso gli strumenti e i contenuti del sapere, alla pratica e all’attuazione della nostra Costituzione, ai suoi principi fondamentali, alla solidarietà, all’inclusione, all’uguaglianza.
Il riferimento alla scuola e all’istruzione riempie gli operatori di giusto orgoglio, ma li carica anche, e soprattutto, di grande responsabilità. E li interroga: se procedono con la loro azione educativa verso gli obiettivi che tutta la società afferma e condivide. E qui c’è purtroppo il punto critico, che è all’origine di tanti tragici problemi: l’autoreferenzialità della scuola. Un’autoreferenzialità conclamata, dichiarata, cercata. Dagli operatori scolastici, e perfino dai genitori degli alunni e studenti.
Un’autoreferenzialità che non regge. I soggetti importanti che chiamano in causa la scuola, si aspettano risposte dagli studenti. Se le aspettano ora. Non nel futuro. E i ragazzi vogliono rispondere ora, perché vivono il presente. Prepararsi per il futuro, non significa non vivere il presente. Tra scuola e società deve esserci reciproca influenza, interscambio, una perfetta osmosi. Una divisione, artefatta e innaturale, tra scuola e società, danneggia gli studenti e, ancora di più, l’intera società.
Alla prova della pandemia questa autoreferenzialità diventa una prigione, o meglio da prigione dorata qual è, si trasforma nel luogo in cui il virus s’incuba e si moltiplica, il virus di cui i ragazzi diventano i portatori, gli untori. Allora bisogna chiuderle, le scuole, e ricorrere alla dad. Che ne è solo il surrogato, perché le scuole sono un luogo, innanzitutto un luogo, che nella dad viene meno, privando i ragazzi delle relazioni, dei contatti, del chiasso, delle emozioni. Con danni incalcolabili.
Per non ripetere in futuro gli stessi errori, incominciamo la nostra battaglia contro l’autoreferenzialità della scuola. Dall’interno e dall’esterno, con coraggio e senza ipocrisie. E scopriremo che le scuole sono fatte per stare aperte e frequentate dai ragazzi. A qualunque costo!