SERVONO PIÙ VOLONTARI PER AIUTARE I VECCHI POVERI

Franco Buccino

La crisi economica non ha tardato a manifestare i suoi effetti nella nostra città e nella nostra regione. Non c’ è bisogno dei numeri dei modelli Isee e delle social card per accorgersene, basta guardarsi attorno. E però quello che colpisce di più l’ opinione pubblica è la quantità crescente di persone e di famiglie che si allontana dalla soglia del benessere per avvicinarsi a gran passo verso il livello della povertà. Primi a cadere le spese voluttuarie, i capi firmati, i viaggi e i ristoranti; poi i supermercati che cedono il passo ai discount e ai mercatini rionali, i negozi agli ambulanti, le palestre alla pratica sportiva individuale. Chi non riesce a pagare il mutuo, chi l’ affitto. Tanti precari, senza il rinnovo del pur misero contratto, riprendono a fare i figli di famiglia, magari con moglie e figli al seguito. Gli studenti di quinta del mio liceo volevano andare in viaggio di istruzione a Madrid; hanno ripiegato sulla più economica Praga, e solo dopo un insperato contributo economico da parte della scuola. Sono cose che colpiscono perché riguardano molta gente e perché sono abbastanza impreviste. Chi avrebbe pensato di incontrare difficoltà insormontabili a “sposare” un figlio o una figlia, a ristrutturarsi una casa, ad andare a mare d’ estate, o anche alla necessità di stare attenti al cartellino del prezzo delle arance. Ma se tante persone con uno stipendio o una pensione ritenuti dignitosi stanno diventando povere, che ne è dei poveri della nostra città e della nostra regione? Quelli veri, quelli storici, quelli conclamati. Quelli con la pensione sociale, soli, anziani, disabili. Famiglie che già vivevano nel degrado di periferie anonime. Da cui scappa perfino la malavita. Quelle nelle quali le Asl hanno i macchinari rotti e le scuole tempi di funzionamento sempre più ridotti. Per tutte queste persone non c’ è speranza, non c’è futuro. Per i nuovi poveri si studieranno iniziative d’ ogni genere perché escano dalle difficoltà. Se non fosse così, con loro sarebbero travolti imprese, profitti, economia, mercato, cultura, morale e ordine pubblico. Si devono salvare e riprendere a pagare mutui, comprare elettrodomestici di ultima generazione, andare in vacanza e non far caso al prezzo delle arance. Per i vecchi poveri, per i poveri di sempre non ci sono e non ci saranno misure adeguate per risollevarli. Le casse dello Stato e dei governi locali non se lo possono e non se lo vogliono permettere. Occorre individuare il bisogno silente che non ha voce e che deve invece essere ricercato, individuato e risolto in termini di assistenza. Sì, perché per loro, i poveri di sempre, rimangono solidarietà e volontariato. Non è, come potrebbe sembrare a molti, un ripiego, un surrogato in un’ ottica di sostituzione delle politiche di intervento pubblico e di protezione sociale, ma è il contributo della cittadinanza attiva a un welfare rinnovato in cui le responsabilità pubbliche si aprono alla condivisione e alla partecipazione dei cittadini. È una scelta culturale in pieno terzo millennio, partendo e valorizzando l’ esistente. La natura e le proporzioni della crisi che stiamo solo cominciando a vivere ci impongono una scelta rapida e irreversibile. A cominciare dalle associazioni che già lavorano, e che studiano il modo di integrarsi tra loro. L’ integrazione si può realizzare promuovendo quelle associazioni di auto-aiuto delle famiglie in direzione delle pratiche della solidarietà, degli acquisti solidali, del banco alimentare. Costruendo, a tal fine, una rete di solidarietà il più possibile efficace e tempestiva per coloro che manifestano un bisogno. Una specie di “segretariato sociale” collegato al bisogno delle persone. Un polo della solidarietà capace di dare informazioni, ma anche di fare interventi integrati a favore delle persone e delle famiglie che subiscono le conseguenze della crisi economica e della crisi del lavoro. Una cittadella del volontariato e della solidarietà, come già l’ hanno chiamata. Tutto ciò mentre si riscontrano enormi difficoltà nell’ intercettare nuovi volontari. Forse di tale problema si dovrebbero fare carico le grandi organizzazioni di massa, oggi sostanzialmente i sindacati, che ai due tradizionali impegni della contrattazione nel lavoro e nei territori e della tutela dei diritti devono aggiungere con più determinazione l’ impegno solidale di sempre più loro iscritti nel mondo e nella pratica del volontariato. E, se mi posso permettere, perfino le comunità ecclesiali, che forse dovrebbero impegnarsi più globalmente nell’ assistenza senza delegare pochi gruppi a tale compito. Insomma una scelta culturale, perfino suffragata, nel ruolo inflazionato della scuola, da una educazione alla solidarietà, incentrata su un principio elementare e universale, per cui una parte del nostro tempo e delle nostre competenze la destiniamo gratuitamente agli altri.

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