SAN NICOLA VARCO, UN GHETTO CHE NON VOGLIAMO VEDERE

Franco Buccino

Emanuele, mio nipote, è tornato mercoledì 11 dall’ asilo con un foglio che raffigurava un cavaliere. Sotto c’ era scritto: “San Martino aveva un mantello /ne diede metà al poverello. /San Martino se ne andò e il sole lo baciò. /Ora freddo non ha più”. Poco dopo ho letto la notizia relativa allo sgombero del ghetto di San Nicola Varco dove vivono 800 nordafricani. C’eravamo stati, molti di noi, giusto due anni fa a San Nicola Varco di Eboli, con Epifani e il vescovo Pierro. Provammo un senso di vergogna dinanzi a un degrado ributtante e capimmo per la prima volta fino in fondo il pietismo cinico e ipocrita di chi sconsiglia la visione di certe immagini o decide di non pubblicarle. Uomini allo stato brado, topi e zanzare, case senza acqua e servizi, senza finestre, con fogli di plastica, promiscuità, commerci e baratti, prepotenze e sopraffazioni. In contrasto con tutto il resto, al centro un prefabbricato in cui qualcuno si occupava di loro, cercando di rimediare al tremendo affronto che esseri umani subivano da loro simili. Un volontario ci raccontò di un ragazzo marocchino che era entrato in un locale della costruzione e si era chiuso a chiave; mentre i presenti cominciavano a preoccuparsi, egli aveva riaperto dicendo che aveva voluto riprovare dopo tanto tempo l’ intimità di star chiusi a chiave in una stanza. Si erano fatti tanti progetti per loro, prima e dopo la visita. L’ epilogo era purtroppo scontato. Alcune centinaia di poliziotti, carabinieri e finanzieri hanno sgomberato l’ area. Ma la maggioranza degli immigrati se ne era già andata per fatti suoi. Li rivediamo per le vie, a piedi, con biciclette sgangherate, la mattina presto sul ciglio delle strade in attesa dei nuovi caporali. Perché hanno sgomberato il ghetto l’ 11 novembre, a san Martino, e non quest’ estate? Per non intralciare il flusso di turisti sulla statale 18 e sulla provinciale per il mare di Campolongo. O per non interrompere la raccolta dei pomodori nella piana del Sele. Li vediamo per le città, come ieri sera a Caserta, spauriti come se fossero i carnefici e non le vittime della strage di Castel Volturno, nel giorno dell’ avvio del processo. Li vediamo di giorno sempre più presenti e attivi in mezzo a noi, ma la notte non vogliamo sapere dove e come stanno. I più buoni di noi pensano che il loro sia un destino. Eppure ricordo sempre quel che mi disse un giovane tunisino, laureato in lingue e bracciante agricolo, irregolare che viveva proprio a San Nicola Varco: «Ciò che ci fa soffrire di più è che voi possiate pensare che noi siamo abituati a questa vita». Ma l’ integrazione, si sa, andrà avanti. Nonostante la tiepidezza di tante persone perbene e timorate di Dio. Nonostante l’ accanimento di chi li vuole escludere da tutto, perfino dal beneficio di processi brevi. È inutile. È la storia che ce lo insegna. Tra non molti anni, un presidente della Repubblica italiana, di origine nordafricana, passerà per San Nicola Varco e ricorderà gli uomini che abitavano il ghetto e il loro sacrificio per la costruzione della nuova nazione.

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