ESSERE POVERI AL SUD

Franco Buccino

Nei caldi mesi di luglio e agosto si è parlato spesso di povertà. Come negli altri anni. Forse perché nei mesi estivi si colgono di più le differenze sociali, le diverse possibilità che hanno le persone; o forse perché ci sono le solite emergenze: anziani, non autosufficienti. A volte lasciati soli o abbandonati come gli animali cosiddetti domestici. Quest’anno poi, nel pieno del caldo, l’Istat ha pubblicato dati sulla povertà. In buona sostanza i numeri dicono che i poveri stanno diminuendo. Notizia che ha suscitato reazioni e polemiche. Chi l’ha vista in linea con la comunicazione estiva del governo: “Siamo in piena ripresa, dopo la crisi”; chi, come la Caritas, l’ha contestata, forte di altre cifre e altre esperienze; chi, infine, si è avventurato nella fondamentale ma spesso labile differenza tra povertà assoluta e povertà relativa.
Nelle regioni meridionali, sinceramente, non ci siamo accorti di una diminuzione dei poveri. Diciamo la verità: ce ne sono tanti, tantissimi; e però non è così facile individuarli. È come se si mimetizzassero nel contesto più generale. A pensarci bene, anche da ciò derivano le accuse che le altre regioni più spesso ci muovono. Malavita organizzata e corruzione sono fenomeni ormai pacificamente riconosciuti come nazionali, ma altri specifici sono tutti nostri. Primo. Siamo una palla al piede per il paese; per colpa nostra è messo male nelle classifiche internazionali; ci sono due Italie ovvero l’Italia va a due velocità. Stiamo sempre indietro, in tutto, e ci trasciniamo appresso il resto del paese. Secondo. Ci sono troppi furbi in mezzo a noi. Usufruiscono di vantaggi e benefici senza averne titolo. Con sistemi spesso ingegnosi fregano soldi alla collettività nazionale. Accidia e furbizia si sono incontrate nelle nostre regioni.
Non si può negare che le due accuse siano fondate. Siamo gli ultimi in tutte le classifiche, indossiamo sempre la maglia nera. A cominciare dal Pil, il prodotto interno lordo, e poi l’occupazione, l’occupazione femminile, la produzione industriale, il commercio con l’estero, le pensioni medie, le pensioni medie delle donne, i servizi (sanità e trasporti in primis), l’istruzione, la lettura dei quotidiani, la vivibilità delle città. Dall’accusa poi di approfittare abbiamo ancora più difficoltà a difenderci. Ciechi e paralitici a passeggio per le città o alla guida di automobili. Pensioni di invalidità e assegni di accompagnamento a persone in perfetta forma. Truffe all’Inps, falsi braccianti, persone mai occupate che percepiscono indennità di disoccupazione, ditte fantasma e permessi di soggiorno. Esenzione ticket sanitario senza averne titolo, anziani con pensioni modeste e nipoti a carico, poveri prestanome con beni intestati. Falsi tagliandi dell’assicurazione, mancato pagamento del canone radiotelevisivo, incidenti stradali fasulli. Autocertificazioni inventate, certificati falsi, cartelle cliniche contraffatte, compravendita di titoli di studio.
Pur volendo riconoscere tutte le nostre colpe, è evidente però che la drammaticità della situazione in cui ci troviamo ha ben altre cause, e le responsabilità sono in capo a chi ci governa e ci amministra. Ancora recentemente il governo, davanti al crescente divario tra nord e sud e anche su pressione di parlamentari meridionali, non ha saputo far di meglio, in termini di politica economica e industriale, che annunciare iniziative e finanziamenti di grandi opere nelle nostre regioni. Che di norma attirano l’attenzione della malavita organizzata e danno luogo a subappalti a catena. Con perfino lavoratori a nero, frequenti incidenti sul lavoro, un impatto ambientale nefasto. E comunque delle ingenti risorse, nei nostri territori arrivano le briciole. Inoltre, troppo spesso le politiche sociali del governo e delle regioni offrono le uniche occasioni per esigenze che vanno ben oltre meri bisogni di assistenza. A cominciare dal lavoro. Lsu, cooperative sociali, volontariato con i rimborsi spese, corsi di formazione professionale con sussidi, tirocini retribuiti, servizio civile con i 400 euro al mese, progetti finanziati miranti alla creazione di posti di lavoro, progetti di accompagnamento come Garanzia giovani.
Infine, si dice che l’Italia, assieme alla Grecia, è l’unico paese europeo a non aver definito una misura contro la povertà, misura consistente di norma in un contributo economico accompagnato da servizi alla persona (educativi, sociali, per l’impiego). Ve l’immaginate come al sud ci si butterebbe su una tale opportunità. Guai ai poveri nel povero sud! Ma è normale che solo attraverso iniziative di tipo sociale e assistenziale, o solo attraverso fondi europei, si pensi di affrontare in regioni come la nostra il problema dell’educazione permanente o quello del lavoro? Forse non solo noi meridionali dobbiamo cambiare mentalità e atteggiamento culturale nei confronti dei nostri problemi.

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