Franco Buccino
I tristi avvenimenti che stiamo vivendo in questi giorni, Arturo, Luigi, ma anche l’albero di Natale nella Galleria, stanno portando in evidenza una emergenza importante e sottovalutata, l’emergenza educativa. Soprattutto l’episodio di Arturo ci mostra che cosa hanno in comune vittime e carnefici. E non è solo l’età. Anche la vicenda di Luigi potrebbe riservare qualche sorpresa in tal senso.
Siamo abituati a ragazzi violenti, disadattati, provenienti da famiglie con disagi vari, con genitori in galera, familiari drogati, appartenenti alla camorra. Noi che appartenevamo al mondo della scuola ci siamo chiesti tante volte perché alcuni nostri alunni avevano un destino annunciato che li avrebbe portati inevitabilmente a diventare vittime di regolamenti di conto e esecutori materiali di delitti. Ma, nonostante qualche scrupolo, ci siamo rassegnati ad escluderli dalla scuola per incompatibilità. Abbiamo tante volte appreso di nostri alunni protagonisti di fatti criminali, mentre dovevano trovarsi a scuola. E forse le cose oggi non sono cambiate di molto.
Ci dispiace per il destino di questi ragazzi, ma sotto sotto pensiamo che sia inevitabile, e soprattutto siamo convinti di non poterci aspettare niente dalle loro famiglie e dal contesto sociale di appartenenza. Che anzi sono all’origine di tutti i mali. Ma se all’improvviso scopriamo che ragazzi violenti, protagonisti di azioni criminali, appartengono a famiglie normali, vanno regolarmente a scuola, hanno amici uguali a loro, allora entriamo definitivamente in crisi. Le nostre certezze vacillano. La cosa ci riguarda da vicino. Non ne siamo immuni. Un senso di angoscia ci avvolge. Viene messo in discussione il nostro sistema di valutazione.
Superato lo choc iniziale e convinti ormai che non funziona la classica netta divisione del mondo in buoni e cattivi, e soprattutto convinti che il nostro gruppo non appartiene automaticamente ai buoni, ci dobbiamo chiedere il come e il perché una famiglia normale possa allevare un violento in seno. Se esaminassimo tanti di questi casi, faremmo una scoperta sensazionale. Nella maggioranza dei casi manca del tutto un’attività educativa, non si esercita alcuna autorità educativa. Questi ragazzi non ricevono alcuna educazione in famiglia perché i genitori sono immaturi, impreparati, incapaci. Figli e genitori vivono in un vuoto educativo totale: solo impulsi esterni, mode, messaggi; senza ruoli e senza funzioni. Apparentemente i genitori sembrano interessarsi ai figli: dove vanno in vacanza, quale scuola frequentano, la palestra, il catechismo, gli amici perfino. In realtà non gli interessa niente di cosa pensano veramente, in che cosa credono, che cosa li fa soffrire, quali strade pericolose cominciano a percorrere.
Questi ragazzi bisogna salvarli, e i genitori devono diventare tutti adottivi, come ho sentito dire in questi giorni. Nel senso che questi ragazzi, così simili agli immigrati minori non accompagnati, devono assolutamente avere chi si prende cura di loro. Innanzi tutto i loro genitori, e se non sono in grado di farlo, devono prepararsi, devono studiare, come i tutor dei minori non accompagnati. Adottare i figli biologici significa dargli modelli, valori ed esempio; verificare i loro passi e i loro progressi, stargli accanto. Solo chi non se la sente o non è capace deve lasciare il passo ad altri. Perché un figlio non può essere abbandonato, abbandonato a sé stesso.
Per un cambio di passo culturale la società civile svolge un ruolo fondamentale. Vanno in tale direzione le manifestazioni spontanee di questi giorni a Napoli e a Parete. E la mamma di Arturo, che è riuscita ad anteporre l’obiettivo della genitorialità responsabile alle possibili conseguenze negative per il figlio alla sovraesposizione mediatica a cui l’ha sottoposto, rappresenta un contributo importante a questo percorso.