Franco Buccino
Ricordo quella mattina del 1998 alla Pascoli 2 di Secondigliano. Arrivavano giornalisti, docenti, presidi, sindacalisti, autorità, e poi lui, il ministro Luigi Berlinguer: accigliato e veloce.
Era stato aggredito, qualche giorno prima, un docente di educazione tecnica da un paio di malviventi, mandati dal padre camorrista di un alunno rimproverato!
Nella confusione che regnava ebbi la fortuna di avere un colloquio col Ministro, in due tempi. Più per il ruolo di segretario della Cgil scuola di Napoli che per quello di preside.
Nella prima parte del colloquio, a me che sottolineavo la gravità e la frequenza di quegli episodi, la delusione perché anziché portare noi legalità nel quartiere, portavano loro camorra nella scuola, il Ministro, ritornato stranamente calmo e sereno, rispose più o meno così: “Sarebbe di certo più grave di questi episodi un clima nella scuola analogo a quello che si vive così spesso all’esterno: favorito, più o meno involontariamente, da insegnanti, da bidelli, da presidi. Un clima nel quale gli alunni non facessero esperienza concreta di legalità, di serietà dell’attività scolastica. E i genitori non facessero esperienza di partecipazione insieme con i docenti e magari anche con quelle autorità, qui così abbondantemente presenti per l’occasione, ma poi così assenti”.
Ho ripensato spesso queste parole, in particolare in tutta l’esperienza delle “scuole collocate in aree a rischio” fino ai recenti “patti educativi territoriali”.
In un successivo breve confronto parlammo del personale, dei docenti e dell’organizzazione della scuola. Con grande determinazione diceva le cose tante volte ripetute. La scuola conta e incide se è di qualità. Vale sempre e per tutti, al centro e in periferia. Senza enfasi: la scuola è la scuola. E poi lo strumento che, secondo lui, avrebbe risolto un bel po’ di problemi: l’autonomia delle singole scuole. Uno strumento che pretende consensi diffusi, coraggio ed entusiasmo. Una volta avviato, avrebbe giustificato e riabilitato cose al momento rifiutate e combattute.
Questo mi disse Berlinguer, prima di essere definitivamente prelevato e distratto dai suoi accompagnatori. E pensava, ne sono sicuro, a concorsone e merito, al riordino dei cicli, oltre all’autonomia.
Una giornata per me indimenticabile, che mi permise di prendere definitivamente le distanze da chi, senza dirlo, pensava che in scuole di periferia bisognasse rassegnarsi a realtà di serie B e scappar via alla prima occasione. Da chi si giustificava, fin quasi a vantarsi, di dirigere una scuola a doppio o, addirittura, a triplo turno. Da chi, sia che promuovesse, sia che bocciasse, aveva l’intima convinzione che per la maggioranza degli alunni della “platea” non ci fosse già più niente da fare.
E invece mi convinse definitivamente a orientarmi verso una scuola di qualità per tutti e dappertutto! Una scuola che pretende, sempre e ovunque, serietà professionale e impegno, che è pronta e felice di riconoscere il merito tra i suoi operatori.
Luigi Berlinguer è sceso dall’utopia con proposte concrete, che sono ancora attualissime, che sono forse oggi perfino più realizzabili.
A cominciare dal riordino dei cicli, che non era solo la giusta esigenza di portare gli studenti a conseguire la “maturità”, il diploma, a diciott’anni. Berlinguer voleva rompere le gabbie, i compartimenti stagno, in cui si divide il percorso dell’istruzione. E i tempi sono ormai maturi! L’interesse diffuso per la fascia d’età 0-6 anni con asili nido e scuole dell’infanzia. E poi i dodici anni successivi, divisi in due cicli di sei anni o tre di quattro anni. Un obbligo scolastico e formativo per tutti fino a diciott’anni. Altro che semplificazioni e scorciatoie, recentemente proposte.
E, infine, l’autonomia scolastica, che resta lo strumento principe per far funzionare le scuole. Ma che ancora balbetta, sta ancora ai primi passi.
A regime, la immaginiamo, come Berlinguer, con la gestione diretta di tutte le risorse, con la valutazione dei risultati, sia degli alunni e studenti, sia delle scuole. Con la responsabilizzazione delle figure, dal dirigente ai docenti, al personale amministrativo tecnico ausiliario. Con il riconoscimento del merito, della professionalità. Con la costruzione delle reti tra le scuole e con le istituzioni. E con il terzo settore, aggiungo io, a sostenere la scuola nella lotta alla povertà educativa.
Una scuola, tornando alla mattina di venticinque anni fa, che non solo non si lascerà condizionare dal territorio circostante, ma che diventerà capace di cambiarlo!