SCUOLA, PERCORSI FORMATIVI DA RIVEDERE

FRANCO BUCCINO

Repubblica ed. Napoli, 8maggio 2004

In parecchie scuole superiori si sta assistendo a movimenti strani: sono nati gruppetti di ragazzi che stanno a scuola, ma appartati, hanno un trattamento di favore: materiali di cancelleria, mensa, lunghi intervalli, pullman che li scarrozzano. Ogni gruppetto è assistito da un bel numero di adulti, fanno da accompagnatori, da tutor, da esperti, da insegnanti, da direttori: persone che vengono da fuori e insegnanti della stessa scuola. Di questi ultimi si dicono cose incredibili: in un istituto per periti elettronici un insegnante di ginnastica fa l’esperto di informatica; guadagnano bei soldi con poche ore di lavoro in più, suscitando l’invidia dei colleghi.
Provo a spiegare cosa sta succedendo. Una odiosa anteprima della riforma Moratti è stata l’abolizione dell’innalzamento dell’obbligo scolastico a 15 anni. In attesa di un decreto attuativo su un non meglio definito diritto-dovere dei ragazzi di andare a scuola fino a 18 anni, si è cercato con intese tra Regioni e ministero dell’Istruzione di gestire la fase transitoria. Per quei ragazzi che, finite le medie o dopo una bocciatura non vogliono più saperne di scuola, tali intese prevedono dei percorsi integrati tra istruzione e formazione professionale. Dato il contesto politico e lo spirito della riforma Moratti, altrove questi ragazzi sono stati consegnati nelle mani della formazione professionale, soprattutto privata; in Campania invece l’amministrazione regionale ha fatto una scelta coraggiosa, definendo per loro percorsi triennali con prevalenza iniziale dell’istruzione e successiva maggiore presenza della formazione professionale; 180 istituti superiori, professionali e tecnici, e numerose agenzie di formazione si sono candidati a tale attività e si sono visti assegnare i corsi. Subito sono nati problemi e scoppiate contraddizioni che mettono in discussione l’iniziativa.
Prima questione: chi recluta gli allievi dei corsi? Il compito è stato assegnato alle scuole, dimenticando che purtroppo proprio le scuole hanno espulso quei ragazzi che ora tentano di recuperare. Infatti le scuole ne hanno trovati così pochi (ce ne vogliono da 15 a 22 per avviare un corso), che spesso hanno ripiegato sugli alunni interni più a rischio: qualcuno si è presentato in classe e ha convinto a iscriversi al corso quei ragazzi che “tanto a fine anno comunque sarebbero stati bocciati”. Primo esempio di una scuola che fa concorrenza a se stessa: si fa con i corsi integrati quello che si dovrebbe fare con le attività normali; inoltre si rischia, togliendo i ragazzi dalle classi, di ridurre le classi stesse e l’organico dei docenti. Seconda questione: i corsi della durata di mille ore, sia pure a ranghi ridotti, sono partiti nella seconda metà di febbraio e devono concludersi entro luglio. Si tratta di far fare a questi ragazzi 45-50 ore a settimana: per arrivare a mille bisogna inserire tante ore di mensa e ricreazione, continue visite istruttive, e forse anche il tempo di percorrenza casa-scuola.
Non sono i soldi che mancano: sono stanziati per ogni corso novantamila euro per istruzione e formazione, fino a trentamila per spese di mensa, cancelleria, visite. È la terza questione: conta più l'”affare” che non i ragazzi. Tranne un gruppetto di interessati, la scuola spesso rimane fuori dall’iniziativa e l’iniziativa fuori dal suo progetto di offerta formativa; le agenzie di formazione di norma non hanno sede né personale, ma svolgono le loro attività nelle comode aule scolastiche e fanno contratti di collaborazione con gli stessi docenti o con quei precari che le supplenze se le sognano. Quarta questione: il coinvolgimento del personale di ruolo e precario, lo svolgimento a scuola delle attività con relative implicazioni didattiche e organizzative, la gestione dei finanziamenti di tali corsi, sono tutte materie di rilevanza sindacale. Ebbene, tutta la fase attuativa del progetto è gestita in tandem dall’assessorato regionale alla formazione e dalla direzione scolastica regionale senza nessuno spazio di informazione e di contrattazione con i sindacati. In tante scuole i dirigenti hanno proceduto all’organizzazione dei corsi e alla loro gestione senza coinvolgere i rappresentanti dei lavoratori.
Sembra una pericolosa anticipazione di quella brutta idea che circola: abolire la contrattazione nella scuola. Ora il quadro descritto all’inizio è di più facile comprensione. L’applicazione della riforma Moratti impone alle Regioni e agli enti locali animati da una diversa sensibilità per il destino dell’istruzione pubblica, una grande attenzione per gli spazi che vengono loro affidati, in particolare per la gestione di tutto “l’obbligo formativo”, per l’integrazione tra scuola e mondo del lavoro. Questi percorsi, proprio perché rappresentano la prima fase di un più ampio progetto, sono un’occasione troppo importante per la Regione, da non sprecare; possono spingere l’amministrazione scolastica a investire uomini e mezzi in questo settore, rivedendo la tabella degli organici; proprio perché esaltano l’autonomia delle scuole e la loro vocazione all’integrazione con la formazione professionale, non possono ridursi a spazi marginali e poco trasparenti della loro attività, ma addirittura divenire il centro della loro azione. Vogliamo provare a rivederli, questi percorsi?
L’autore è segretario cittadino della Cgil-scuola

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