Non lasciamo sole le scuole nelle aree a rischio

FRANCO BUCCINO

Repubblica ed. Napoli, 7 nov. 2004

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Ci sono delle zone a Napoli e in tutta la Campania in cui gli indicatori più comuni di rischio sociale e di disagio economico sono tutti presenti, dal numero reati a quello dei disoccupati, dal lavoro nero e sommerso alla mortalità infantile, dal degrado abitativo alla carenza dei servizi. In tale contesto anche le scuole sono a rischio, perché tra i genitori ci sono un buon numero di pregiudicati e delinquenti, perché molti ragazzi portano a scuola mentalità e atteggiamenti camorristici, perché ci sono famiglie così segnate dall’arretratezza culturale che i loro ragazzi sono già condannati al disagio scolastico.
In queste aree le scuole spesso oscillano tra severità e permissivismo, tra alti tassi di selezione e promozioni di massa, senza uscir fuori dalla contraddizione di fondo di essere esse stesse per le loro rigidità tra le cause della dispersione o dell’insuccesso scolastico. Per tali scuole si è pensato dal 1999 a un istituto contrattuale, comunemente detto delle “aree a rischio”, che riconoscesse l’impegno degli operatori e si collegasse a un tavolo “politico” in grado di migliorare le condizioni della didattica (ad esempio, meno alunni per classe) e favorire la sinergia con tanti altri soggetti impegnati nelle stesse zone.
Perché, infatti, le scuole nelle aree a rischio possano uscire fuori dal rischio, occorre che non siano lasciate sole: debbono fare esperienze forti di democrazia e di partecipazione alla vita civile della città incontrandosi con le istituzioni e con le forze dell’ordine, non solo in occasioni drammatiche, ma anche nella quotidianità. Così come occorre che in esse si investano consistenti risorse: le scuole non possono esser collocate in edifici fatiscenti, in locali per “civili” abitazioni; non possono fare a meno di laboratori attrezzati e di palestre. E, naturalmente, bisogna dare a queste scuole un organico adeguato e qualificato.
Ma l’istituto contrattuale delle scuole collocate in aree a rischio non ha funzionato, o meglio ha deluso le aspettative: pochi soldi per poche scuole selezionate; il progetto di una scuola di una zona a rischio è approvato, quello della scuola a fianco no; scarsissima formazione per gli operatori; non si è mai insediato il tavolo politico, anzi al posto dei benefici sono arrivati qui come altrove i tagli; non c’è stata alcuna sinergia tra i tanti soggetti che pure s’interessano degli stessi ragazzi nelle stesse zone.
Ora le scuole ci riprovano. L’ultimo contratto dei lavoratori della scuola riprende il tema della aree a rischio con alcune interessanti novità: le scuole situate in aree a rischio e a forte processo immigratorio accedono ai fondi anche consorziandosi in rete e comunque privilegiando la dimensione territoriale dell’area; i compensi non saranno uguali per ogni figura ma definiti scuola per scuola secondo l’impegno di ognuno; è possibile elaborare progetti soprattutto ampliando l’offerta formativa, che significa più attività per i ragazzi; la contrattazione integrativa si sposta dal ministero alla direzione scolastica regionale: la dimensione regionale eviterà che le scuole di queste zone subiscano al pari delle altre tagli, ridimensionamenti ed economie, e soprattutto favorirà il coinvolgimento degli enti e dei soggetti che s’interessano dei loro alunni.
La scuola rilancia la sua sfida. È possibile che la direzione scolastica regionale, le scuole, la regione, le province, i comuni, le asl, la giustizia, le forze dell’ordine, le comunità, le associazioni, i sindacati, riusciamo a fare ognuno la propria parte e insieme a coordinarci per i ragazzi che vivono nelle aree a rischio? È possibile farlo prima di stracciarci le vesti e batterci il petto per il prossimo episodio di cronaca nera che veda protagonista, e vittima comunque, un nostro alunno di una scuola di frontiera, lui sì veramente a rischio?
L’autore è segretario della Federazione lavoratori
della conoscenza Flc Cgil Campania

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