La rabbia degli ultimi che non si rassegnano

Franco Buccino

Repubblica ed. Napoli, 20 giu 2007

Anche io ho letto il “Primo rapporto sulla qualità della scuola” pubblicato da “Tuttoscuola”, che stila una graduatoria dei sistemi scolastici territoriali in base a ben 152 indicatori, tratti tutti da rilevazioni ufficiali. è quel documento che ha consegnato la maglia nera, se mai avessimo avuto qualche dubbio, alla scuola campana e napoletana.

All’ inizio della lettura, cominciando a scorrere gli indicatori e vedendo che le cose si mettevano male per noi, come per reazione ho richiamato alla mente qualche scuola nostra d’ eccellenza. Ho cominciato con il convitto nazionale di piazza Dante che ha in questi giorni festeggiato i duecento anni di vita in ottima salute, poi il liceo Vittorio Emanuele che ha aperto un museo, e ancora, allontanandomi dal centro, altre scuole prestigiose e richieste, integrate nel territorio e nelle attività culturali e artistiche. Mescolando valutazioni soggettive a quelle oggettive, mi è venuta in mente la Stanziale di San Giorgio, dove qualche anno fa sperimentammo come era facile non far “ritirare” gli alunni alla fine di maggio, con una iniziativa che si chiamava Vivi La Scuola e che consisteva nel far fare ai ragazzi, in modo più libero e corale, quello che facevano per tutto l’ anno. Il riscatto sembrava allora vicino. Sono arrivato infine alle scuole di periferia, apparentemente sopraffatte dal contesto degradato eppure così generose e irripetibili, come quella scuola della zona nord dove qualche tempo fa facemmo un’ assemblea sindacale unitaria scarsamente partecipata. Nell’ aula in cui eravamo riuniti leggemmo su un foglietto appeso alla parete alcune regole per gli alunni, semplici e banali. A noi che ironizzavamo, un docente della scuola disse. «Sì, però le hanno scritto loro e si impegnano a rispettarle», e ci zittì. Ma la ricerca delle scuole a qualunque titolo lodevoli si è interrotta dinanzi all’ evidenza del gran numero di indicatori, i più disparati, che inesorabilmente condannavano agli ultimi posti le nostre scuole e il nostro sistema dell’ istruzione pubblica. Che rabbia: nonostante noi, nonostante le scuole, siamo gli ultimi. Se solo ci fosse consapevolezza di ciò e delle conseguenze che ne derivano per l’ intera popolazione. Ma forse per la nostra gente, che non sa se morirà sommersa da cumuli di rifiuti o nel bel mezzo di un regolamento di conti, sarebbe troppo il coinvolgerla nella terza emergenza, l’ emergenza istruzione. E certo non è un’ emergenza da meno rispetto alle altre due. La nostra scuola è agli ultimi posti soprattutto per i seguenti tre motivi: l’ assenza di una riforma scolastica globale, centrata sul tempo scuola e sulla ricchezza e varietà dell’ offerta formativa, accompagnata da un’ autonomia effettiva; i tagli del personale e delle risorse finanziarie, continui e generalizzati senza alcuna considerazione per aree a rischio o alunni più deboli; strutture edilizie carenti sul piano della sicurezza, inadeguate sul piano della didattica, così lontane dai «luoghi sani, accoglienti, sicuri, ecologici» di cui parla Umberto Eco. Se solo si avviassero a soluzione queste tre questioni, risaliremmo alle prime posizioni in un batter d’ occhi. Un giovane tunisino, laureato in lingue e bracciante agricolo, che vive da irregolare nel ghetto di San Nicola Varco, dove di notte non si dorme per evitare gli assalti dei topi, qualche giorno fa mi ha detto: «Ciò che ci fa soffrire di più è che voi possiate pensare che noi siamo abituati a questa vita». Allo stesso modo le nostre scuole non sono rassegnate e tanto meno abituate a essere le ultime. Dobbiamo sconfiggere l’ atteggiamento culturale, apparentemente pietistico e filantropico, in realtà cinico e spietato, di chi pensa di aiutarci nella lotta alla dispersione e nelle altre emergenze con percorsi integrati, con progetti d’ ogni genere, ma è intimamente convinto che ultimi siamo e ultimi rimarremo. Ci vogliono aiutare, bontà loro, a vivere con dignità e senza disperazione il nostro stato di ultimi, mentre noi vogliamo alcune condizioni minime per risalire dal fondo della classifica. La rabbia di questa nostra situazione, di essere gli ultimi senza averne colpa, vogliamo gridarla nelle piazze, nei confronti con i politici, negli incontri con le istituzioni. Perfino dai magistrati vogliamo pretendere che ognuno faccia la sua parte e rispetti le norme. Solo chi ha una mentalità corporativa, chi predica la contrapposizione dei presidi alle altre componenti della scuola, e la loro natura servente verso un’ Amministrazione che taglia e obbliga al silenzio, può leggere la nostra iniziativa come una denuncia giudiziaria contro i dirigenti scolastici. In realtà non ci contrapponiamo a nessuno. Vogliamo invece, tutti insieme, dirigenti, docenti, personale Ata, studenti, famiglie e cittadini, riportare la nostra scuola in serie A.



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