il problema non è napoli ma il partito democratico

Franco Buccino

Nelle analisi sulla soluzione per la giunta di Napoli, trovo due giudizi ricorrenti che francamente non condivido. Il primo è che la giunta Iervolino ha spaccato il Partito democratico a Napoli; il secondo è che quel che succede a Napoli, ma anche a Firenze o in Sardegna, riguarda i partiti democratici locali. Sarebbe facile ironizzare su un partito che per spaccarsi avrebbe dovuto essere unito. La verità è che la spaccatura forse insanabile ma latente è tra chi ha un’ idea del Partito democratico un po’ romantica, quella portata da Veltroni nelle piazze, un partito nuovo e non somma dei precedenti, capace di rappresentare istanze anche diverse ma con un denominatore comune, attento ai valori umani e sociali, progressista con una chiara vocazione a governare nell’ onestà e nella trasparenza. E chi con pragmatismo accoglie qualunque soluzione partitica viene proposta, si presenta agli appuntamenti col peso del suo pacchetto di tessere, entra in gioco subito nella distribuzione degli incarichi, e crede, più che nel buon governo, nel proprio governo in giunte anche più volte rimpastate. Il primo orientamento riguarda di norma singole persone, il secondo riguarda gruppi costituiti. è un duello senza storia. E non si svolge solo a Napoli questa battaglia. A Napoli la enfatizziamo, la rendiamo popolare, ne facciamo la caricatura. Ma abbiamo esattamente gli stessi problemi che il Partito democratico ha a Roma e in tutte le parti d’ Italia. Il più importante di tutti è di diventare veramente il Partito democratico, cioè un’ altra cosa rispetto a Margherita, Democratici di sinistra, creare quadri democratici nei quali la provenienza d’ origine sfuma fino ad annullarsi, avere iscritti che pensano da democratici e sognano da democratici, sperimentare modelli di governo che vengono elaborati dal nuovo partito. Non si esclude nessuno, ma i dirigenti devono essere tutti nuovi, dentro. Come il partito che dirigono.

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