PRECARI POLVERIZZATI

Franco Buccino

I riflettori dei media nazionali si sono accesi sui precari della scuola. Trecentomila persone (60 mila lavorano in Campania) che fanno parte del sistema dell’ istruzione nel nostro Paese. Si parla soprattutto dei precari disperati e spregiudicati nel far punti e nel cercare di sopravvivere, un precario che compra, baratta e vende, se è necessario, i suoi diritti e la sua dignità. Riflettori puntati perfino sugli “aversani” che tutte le mattine si recano a Roma in treno e aspettano a Termini la telefonata che annuncia un giorno di supplenza, o si insegna senza guadagnare, in nome del punteggio. Ma è giusto, ora, parlare anche del supplente annuale o insegnante a tempo determinato. Che non si distingue dall’ insegnante di ruolo se non perché rimane per un solo anno su una cattedra. I supplenti annuali sono del tutto uguali ai colleghi di ruolo in responsabilità, compiti, funzioni e professionalità. E così sono percepiti dagli studenti, dalla famiglie, dalla scuola, perfino dall’ amministrazione: senza supplenti annuali, ad esempio, non si farebbero gli esami di Stato. Ma più semplicemente non si farebbe lezione, le scuole si bloccherebbero. L’ obiettivo dovrebbe essere quello di stabilizzare i docenti con incarichi annuali. E invece no. Una proposta che circola è quella di eliminare le graduatorie e azzerare le posizioni individuali. Ripartire tutti da zero. Così, si dice, le scuole selezionano solo gli insegnanti più bravi. È un’ utopia diffusa e popolare: vorremmo gli insegnanti migliori, come i medici più esperti, gli impiegati pubblici più efficienti, eccetera. Neanche ci sfiora il dubbio che forse non è una questione di addetti. Ma, tornando alla scuola, la proposta di eliminare le graduatorie l’ avanza la fondazione Agnelli dentro un’ ipotesi più complessiva di riorganizzazione, con tanto di albi, di bandi da parte delle scuole, di retribuzioni differenziate, di un sistema di valutazione, di un’ effettiva autonomia delle scuole. Una proposta che andrebbe discussa e approfondita, e secondo me bocciata perché sposa la privatizzazione. Ma, lo dico in termini provocatori, se passasse dovrebbe riguardare tutti gli insegnanti e dirigenti, e non solo i supplenti, i precari, i giovani: se le scuole chiamano loro i docenti, li devono chiamare tutti. Altrimenti? Altrimenti c’ è il trucco. La Gelmini partecipava alla presentazione dello studio della fondazione, e accondiscendeva alla proposta. Azzerare le graduatorie e passare alla chiamata diretta da parte delle scuole per colmare i vuoti d’ organico: a prima vista non si riesce a capire quali vantaggi deriverebbero all’ amministrazione. Intanto, il tutto sarebbe molto più complicato da gestire, perché si tratterebbe di sostituire a un unico e collaudato sistema centrale di reclutamento, regionale o provinciale, tanti piccoli sistemi quante sono le scuole. Anche in termini di trasparenza diverrebbe più difficile il controllo di eventuali errori e favoritismi, e aumenterebbe il contenzioso. Sul versante professionale la chiamata diretta, anche con il bando, non garantirebbe più della chiamata secondo l’ ordine delle graduatorie. Per i precari sarebbe come muoversi in una giungla e dovrebbero sperare non più nel buon punteggio, ma nella buona sorte. Allora viene da chiedersi perché la proposta non è stata immediatamente archiviata. La risposta è semplice. Si otterrebbe di frantumare il precariato della scuola in diecimila precariati, quante sono le scuole; di effettuare i tagli da una cabina di regia nazionale; di ridurre i diritti e le tutele contrattuali dei lavoratori. Ridurre la spesa, sguarnire le scuole, rendere i precari innocui e senza pretese erano proprio gli obiettivi perseguiti da tutti i governi di centrodestra, e non solo, senza successo. Ora la Gelmini potrebbe illudersi di riuscirci e passare alla storia. Sta alle scuole non cadere nel tranello della “chiamata diretta” e agli insegnanti, di ruolo e non di ruolo, rimanere saldamente uniti.

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