Repubblica ed. Napoli 31 maggio 2023
Franco Buccino
Mi chiedo se le percentuali sempre alte di dispersione scolastica nel nostro paese, e in particolare nelle nostre regioni meridionali, non impongano revisioni, visioni nuove e coraggiose, nello studio del fenomeno e nelle soluzioni possibili di questo grave problema.
A cominciare dalla titolarità della scuola nell’educazione dei ragazzi. La visione “scuolacentrica” dell’educazione e formazione era il nostro antico cavallo di battaglia. Al punto di considerarla l’unica possibile. Al punto di guardare con sospetto l’intrufolarsi di altri. Fino al tragico equivoco di pensare che la scuola per tutti significhi, in buona sostanza, una scuola uguale per tutti.
Ancora più drammatico è stato ed è considerare la scuola stessa titolare della lotta alla dispersione scolastica. Già il termine “evasione scolastica”, che è stato quasi sinonimo di dispersione, rende bene l’idea della contraddizione. Da dove si evade? Se non da un carcere, di sicuro da un luogo non idoneo, per tanti ragazzi, alla loro formazione. Un luogo da cui evadere. Figuriamoci la “cattiveria” di progetti che mirano a recuperare tali ragazzi e a riportarli a scuola. Stessa scuola, banchi, lezioni, campanelle, regole. Stessa sofferenza, la loro che ritornano, ma anche della scuola che li ha espulsi o che si è ”rassegnata” facilmente alla loro assenza. Perché la scuola, una volta che ritiene di aver esaurito il suo compito, e il ragazzo, così diverso dallo standard di alunno, si separano consensualmente!
La scuola ha enormi responsabilità nella dispersione ed evasione. Per la sua rigidità organizzativa, per la mancanza di vera autonomia, per la estrema burocrazia nella gestione del personale da parte del ministero e delle sue articolazioni. Insomma se dovesse essere la scuola ad adeguarsi ai propri studenti, e non viceversa; se fosse messa nelle condizioni di poterlo fare, le cose andrebbero diversamente. Immaginiamo solo il poter fare interventi personalizzati per alunni problematici nel momento giusto: quanti ne salveremmo dalla dispersione, ma anche dall’elenco degli “handicappati” lievi, dall’elenco di alunni con una preparazione modesta, men che mediocre.
Una scuola che non c’è e che, forse, non ci sarà. Ma, terza e ultima riflessione, se pure ci fosse, il problema si risolverebbe solo in parte. In realtà la scuola, a sua volta, ha bisogno di alunni più motivati, più orientati allo studio. Altrimenti il suo compito è impari. E oggi la maggioranza degli studenti è vittima, in misura diversa ovviamente, della povertà educativa. Perché la povertà educativa non dipende solo da problemi economici, ma è trasversale a tutta la popolazione e abbinata a situazioni sociali, locali, familiari. È soprattutto la povertà educativa che continua a provocare dispersione, abbandoni, insuccessi scolastici.
Allora, in conclusione, forse non c’è bisogno di più scuola, ma di una scuola meglio dotata e organizzata, e soprattutto più autonoma. Non c’è bisogno di progetti che, sotto sotto, mirano a replicare la scuola. Rimangono velleitari. Tante persone, associazioni di terzo settore, che si dedicano ai ragazzi, alla loro educazione, alla lotta alla dispersione scolastica, devono risalire alle cause profonde della povertà educativa, che sono sociali. E solo la società può affrontarle.
Che significa? Che non sono solo le aule e nemmeno le palestre delle scuole quelle di cui sentiamo più la mancanza. Non solo laboratori e spazi attrezzati. Ci vogliono sale cinematografiche e teatri, musei e biblioteche, parchi e verde pubblico, palestre e campi sportivi, opportunità per tutti i ragazzi di praticare lo sport e di fare vita associativa. Ci vogliono iniziative pubbliche nelle quali i ragazzi siano i benvenuti. Perfino convegni e iniziative culturali devono avere spazi per loro. Ci vuole un ricordo solenne degli anniversari della nostra repubblica con la partecipazione attiva dei ragazzi, non banali giorni di vacanza a scuola.
Si apre un campo sterminato di interventi per quanti si interessano dell’educazione e della formazione dei nostri ragazzi. In stretta correlazione con la scuola, a cui bisogna lasciare i suoi compiti specifici.
Solo così potremo ridurre le percentuali della dispersione, e anche migliorare la qualità della preparazione culturale e della formazione dei nostri ragazzi. Quello che in qualche misura è mancato perfino a noi che pure la scuola l’abbiamo frequentata e i titoli di studio li abbiamo conseguiti!
Assolutamente d’accordo purtroppo la maggior parte dei miei colleghi si rassegna ad essere dei carcerieri.
Io sono stata insegnante… sono sdempre stata ” fuori” sin dall’inizio… sono stata cresciuta così… valore ai ragazzi… sono loro la Scuola… don Milani… Herman Hesse… san Francesco… Montessori… e avanti e avanti… sempre rinnegata dai colleghi. .. eppure ho vinto io con i miei ragazzi in 35 anni di lavoro… grazie ragazzi per avermi fatto realizzare e vivere… mi avete fatto sentire più sicura di me stessa insieme a voi…